Professore di educazione fisica, allenatore di pallamano e, con l’arrivo della pensione, anche di calcio. Come se non bastasse, per diversi anni ha organizzato anche la festa dello sport di Fregona, portando in paese i campioni del motoclismo, di MotoGp e 250, nomi del calibro Andrea Dovizioso, il compianto Marco Simoncelli, Marco Lucchinelli e la campionessa italiana Samuela De Nardi. Può sembrare azzardato, ma parlare di passione per lo sport, per Elio Dottor (nella foto sopra), 70 anni originario di Fregona, forse è riduttivo.
Ma è la pallamano la sua missione. Lo è stata e lo è ancora oggi, a distanza di 43 anni. Fu grazie ad un giovane Dottor che la disciplina, ancora sconosciuta negli anni di Alessandro Altobelli, Gigi Riva e Gianni Rivera, cominciò a farsi strada nei palazzetti di Marca. “La mia fortuna? Aver insegnato nelle scuole, cosa che mi ha consentito di avere un contatto diretto con i ragazzi: la pallamano non era il calcio, all’epoca nessuno sapeva cos’era… Mica si presentavano così facilmente i giocatori al campo!”, ricorda divertito Dottor.
Professore, il suo nome è legato indissolubilmente a quello della pallamano. Come comincia la sua storia?
Tutto ebbe inizio nel 1976, all’epoca ero professore a Vittorio Veneto. Un giorno, per caso, incrociai all’uscita del palazzetto un collega, Pino Sindoni, che insegnava all’enologia di Conegliano. Si presentò e mi disse che era l’allenatore della squadra maschile di pallamano di Vittorio in Serie C. Al tempo lo sponsor era la Nardi Inox di Gianni Nardi, vice presidente del Milan, e la squadra era composta quasi interamente da giocatori provenienti dall’istituto Cerletti. Mi disse che non aveva più tempo per seguirla e se volevo prendere il suo posto. Non conoscevo questo sport, non avevo mai giocato, ma accettai la sfida. Feci diversi corsi, anche all’estero, raggiungendo la massima qualifica.
Fu proprio lei, nel 1978, a fondare la squadra femminile, che iniziò con il nome di “Icarus” Pallamano Vittorio Veneto, “Giomo Cucine” in Serie A. La sua fortuna, in particolare, fu Susanne Augustesen, recentemente inserita nella Hall of fame di Danimarca.
Andavo personalmente a “reclutare” le ragazze nei paesi limitrofi. Due anni più tardi arrivò Susy e la squadrà cambiò dal giorno alla notte, fu determinante. All’epoca era già campionessa di calcio, giocava in Serie A a Conegliano. Mi dimostrò il suo interesse nel provare questa nuova esperienza visto che aveva già giocato nella nazionale Under 16 danese. A dire la verità all’inizio non mi fece una grande impressione, ma quando la vidi in campo cambiai nettamente idea: era un fenomeno, voleva solo vincere. Così il sabato giocava a calcio e la domenica mattina a pallamano. Ricordo che ebbi qualche problema con un famoso e giovane Ferruccio Mazzola, al tempo allenatore della Lazio femminile dove Susy nel frattempo si era trasferita. Mi disse: Viene sempre ad allenarsi con voi e noi dobbiamo pagarla per giocare a calcio? Ma aveva una mentalità impressionante, con lei arrivammo in Serie A. Era un tipo fuori del comune: arrivava alla partita un minuto prima, voleva un caffè prima di entrare in campo, e mi diceva di schierarla solo in caso di necessità, che ci pensava lei. Ci fu un momento in cui, non avendo più il permesso di soggiorno, non poteva più rimanere in Italia, così per qualche mese la assunsi come domestica (ride, ndr).
Quindi due anni di pallamano a Pordenone e l’approdo a San Fior come professore, ancora al posto del professor Sindoni, dove rimase per 34 anni.
A San Fior misi in piedi altre due squadre: la maschile e l’anno successivo la femminile, quest’ultima in attività fino allo scorso anno in Serie A2. Contemporaneamente ero insegnante alle scuole medie e nel 1988 vincemmo il titolo nazionale dei giochi di gioventù, battendo tutte le regioni d’Italia. Mi è andata bene, anche se in realtà avevo una bella squadra: vincemmo 13 partite su 13, due di queste solamente per un punto. Fu una grande soddisfazione, venimmo ricevuti anche da Papa Wojtyła.
Cioè?
Le finali si disputavano a Roma, passammo cinque giorni lì. Una suora della scuola aveva contatti nel Vaticano e ci organizzò l’incontro, così invitai anche il mio amico e collega di Varese e la sua squadra, nostra avversaria. Dopo un’ora di anticamera e grande attesa, uscì il Papa e con tono solenne disse: Abbiamo qui ospite la scuola media di San Fior, campione d’Italia! Il mio collega rimase di sasso ed esclamò: Ma come? Dobbiamo ancora giocare le semifinali! Così mi rivolsi a lui: Ricordati, quello che dice il Papa dalla cattedra è verità! E poi abbiamo vinto davvero. Sembra una barzelletta, ma è andata proprio così (ride, ndr).
Per non farsi mancare nulla, nel 1990 fondò anche la Tessil Spugna pallamano femminile di Fregona, con cui raggiunse la promozione in Serie B, e dopo qualche anno tornò a San Fior come direttore sportivo ed in seguito presidente. Anni diversi, storie diverse…
Le squadre che fondai, oggi sono tutte… affondate. Purtroppo la Federazione non ha saputo crescere, è mancata l’ambizione. All’epoca io, ed i professori Pino Sindoni e Lucio Fadel, recentemente scomparso, eravamo i pionieri di questo sport nella zona, ci mettevamo passione, entusiasmo e tanto sacrificio. Il problema è che non è seguito un ricambio generazionale ed una classe dirigente preparata. Onestamente anche le soddisfazioni a livello economico sono poche.
(Nella foto sopra la Pallamano Giomo, campionato di Serie A 1984-1985).
Le difficoltà, però, non mancavano neanche ai suoi tempi…
All’epoca non ero solamente allenatore, facevo tutto. Non avevo una struttura alle spalle, ho dovuto metterci grande impegno. Non trovavo dirigenti, dovevo formarli personalmente, magari coinvolgendo i genitori dei ragazzi. Soldi non ne giravano. Quando nel 1984 ottenemmo la promozione in Serie A con la pallamano Vittorio Veneto, l’allora sindaco Concas ricevette la squadra in municipio per un omaggio. Lo colsi di sorpresa e gli diedi un foglio: mancavano gli sponsor e quindi l’anno successivo avremmo rischiato di non iscriverci al campionato. La difficoltà maggiore era proprio quella: trovare il sostegno economico. Una volta, addirittura, dopo aver aspettato per mesi un assegno da due milioni di lire da parte di un costruttore edile, mi presento in banca per riscuoterlo ed era scoperto (ride, ndr)… Ma c’era una passione troppo grande.
Non c’è mai stato un momento in cui ha pensato “adesso smetto”?
Momenti difficili ne ho attraversati parecchi, ma ero talmente carico e preso che non ho mai pensato di smettere… anche perché eravamo solamente tre allenatori in tutta la zona, se avesse smesso qualcuno di noi sarebbe stata la fine, non c’erano alternative. Fare l’allenatore di pallamano era diventata una missione, dovevi essere un carro armato e resistere a tutto. Il mio collega Fadel, prima di morire, qualche mese fa mi ha telefonato per chiedermi di fondare una nuova squadra. Gli ho risposto: dove vuoi che vada a 70 anni?
Non che adesso stia con le mani in mano…
Da quando sono in pensione, insegno pallamano nelle scuole a titolo di volontariato come consulente esterno. Ai ragazzi piace, è uno sport immediato e con poche regole da conoscre, ed io mi diverto come un tempo. Una cosa mi fa piangere il cuore: quando gli alunni mi chiedono dove possano andare a giocare. Gli dico di portare pazienza, non è facile mandarli ad Oderzo, l’unica realtà “superstite” nel territorio. Una decina d’anni fa proposi il matrimonio tra Oderzo e San Fior, all’epoca entrambe in Serie A2 maschile, ma non se ne fece nulla.
Al tempo stesso, però, è riuscito a togliersi le sue belle soddisfazioni negli anni, tra promozioni, vittorie di campionati e portando diversi suoi ex atleti in Serie A…
L’anno scorso ce n’erano cinque: il sarmedese Luca Argentin; suo fratello Andrea, nel giro della Nazionale; il portiere sanfiorese Samuele Bortolot; la compaesana Laura Zanette e Shary Pizzol. Ogni tanto li vado ancora a vedere, anche a loro fa piacere. Nel dicembre 2017 abbiamo mangiato anche una pizza tutti insieme, una sorta di rimpatriata. Mi piacerebbe organizzarne un’altra, magari il prossimo anno, riuscendo a coinvolgere anche Susy Augustesen, che oggi lavora nell’ufficio sport di Copenaghen.
Tra tanti sport quasi ci si dimentica, negli anni scorsi ha allenato anche la squadra di calcio composta dagli ospiti del Ceis di Vittorio Veneto…
Mi chiamavano il Mourinho del Nord Africa (ride, ndr). Nel 2015 venni a conoscenza che i profughi del centro non avevano i soldi per comprarsi le casacche per l’allenamento. Allora decisi di regalargliele di tasca mia ed in seguito di fargli da allenatore visto che ero in pensione. Erano in cinquanta, li allenavo tre volte alla settimana e non è stato semplice. Erano animosi, ma mi hanno sempre rispettato. Mi ricordo che cercavo negli spogliatoi scarpe usate, perché loro si presentavano agli allenamenti in ciabatte: svuotavo il sacco a terra e scappavo (ride, ndr). L’anno scorso abbiamo partecipato anche al Torneo del Centenario a Vittorio Veneto, una cosa pazzesca. All’inizio mi sono sentito le mie belle critiche, ma sono uno che non si scoraggia facilmente e sono andato avanti. E’ stata una bella esperienza, la rifarei subito. Siamo abituati ad avere dei pregiudizi, ma ho conosciuto persone splendide.
(Fonte: Mattia Vettoretti © Qdpnews.it).
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