La tappa odierna è Oderzo, ventimila abitanti, culla della civiltà paleoveneta e non a caso ribattezzata “città archeologica” per le numerose tracce lasciate in loco da civiltà e culture che qui si sono avvicendate nei secoli.
Il moderno toponimo pare il risultato di una graduale modificazione linguistica: dal venetico “Opitergio”, “Obterg”, “Optera” e “Oterg”, al latino “Opitergium”, fino alle attestazioni altomedievali di “Ovederço” e “Hovederço”.
Se gran parte degli studiosi concorda nell’individuare un legame fra la particella op- (qui, là) e la lingua paleoveneta, meno sicura risulta l’associazione della radice -terg con un termine venetico corrispondente a piazza o mercato. A questo punto sarebbe interessante studiare le contaminazioni linguistiche che accomunano –terg con trg, termine nei Balcani significa piazza, luogo di scambio commerciale e spazio quadrato. Una vicenda che ci porta niente meno che nella Gerusalemme dell’epoca di Gesù Cristo ove si narra prestassero servizio i legionari romani provenienti dalle terre opitergine e dall’Istria.
Lo splendore raggiunto da Oderzo in epoca romana fu tale che la città, le cui origini potrebbero essere anteriori all’XI secolo a.C., non solo viene citata dai maggiori storici dell’antichità, ma addirittura condiziona il nome geografico della laguna veneta e dei monti del Cansiglio ritenuti territori “opitergini”.
Passeggiando nel centro storico e nei dintorni di Oderzo è facile imbattersi in preziose testimonianze archeologiche che documentano un passato ricchissimo di storia. Fra i siti più singolari merita un cenno la “Mutera di Colfrancui”, una collinetta realizzata nella notte dei tempi forse per l’osservazione astronomica e che ha restituito numerosi reperti fra i quali lo scheletro di un cavallo, protagonista dei mercati di bestiame paleoveneti.
Affascinati dai mosaici con scene di caccia del Museo civico archeologico “Eno Bellis”, uno dei più antichi d’Italia, sostiamo nell’area del Foro Romano ove immaginiamo le frenetiche trattative commerciali per aggiudicarsi la cavalcatura più adatta a percorrere le numerose vie che collegavano l’antica Oderzo all’entroterra e al mare. Prima di lasciare la città, come oramai d’abitudine, brindiamo al territorio e ai suoi abitanti. Questa volta ci lasciamo consigliare da Plinio il Vecchio che accenna a un vino nigerrimo, più nero della pece, prodotto nel nord est da tempo immemorabile. Una descrizione che coincide con quella di un forte e deciso Raboso del Piave, vino che sta vivendo una nuova stagione di successi, e che in un batter d’occhio ci restituisce le energie per intraprendere un nuovo avvincente viaggio alla scoperta dei toponimi della Marca.
(Foto: Museo archeologico Eno Bellis, Fondazione Oderzo Cultura onlus).
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