Si scrive Fontigo, ma si legge tamburello. “Se nomini il paese, non puoi non pensarci”, osservano Carlo Borsoi (al centro nella foto sotto) e Alessandro Tomei (primo da destra nella foto sotto), presidente ed allenatore-giocatore dell’Asd Fontigo, ultima custode di uno sport altrimenti perduto nella Marca. “E pensare che nel 1979, oltre alla nostra, esistevano una decina di società in provincia… se non di più: Mosnigo, Colbertaldo, Vidor, Valdobbiadene, Bigolino, Cornuda, Castelfranco, Montebelluna, Sernaglia della Battaglia, Possagno, Quero, San Giovanni e Treviso”.
Le difficoltà sono all’ordine del giorno, ma per Fontigo il tamburello è tradizione, quasi una missione. “Sono presidente da vent’anni e le cose sono cambiate parecchio, a livello sportivo ma anche associazionistico. Alle volte me lo chiedo: ma chi me l’ha fatto fare? Arrivi ad un punto in cui è difficile. Siamo così tagliati fuori che diventa difficile mantenere in piedi una società come la nostra… ma noi andiamo avanti”, rimarca con orgoglio Borsoi. “… Per quello, quando arrivano i risultati, le soddisfazioni sono sempre più grandi”, aggiunge Tomei.
La vostra è una disciplina “di nicchia”, poco conosciuta a molti. Di quante categorie si compone e come si svolge una partita?
Le categorie senior vanno dalla Serie A alla Serie D. Di A e B, dove militiamo, esistono 2 gironi da 12 squadre a livello nazionale, concentrati quasi tutti nel Nord Italia perché al Sud è praticato maggiormente a livello indoor. Poi ci sono i campionati provinciali di Serie C e Serie D. Come funziona un partita? Per spiegarlo solitamente facciamo il paragone con il tennis: si fa punto quando la pallina esce dal campo di gioco o compie un doppio rimbalzo a terra. Il regolamento prevede due set al 6 e in caso di pareggio si va al tie-break.
Come vi siete avvicinati a questo sport?
Avevamo circa 5-6 anni e fu un colpo di fulmine. Il tamburello è uno sport difficile quindi o ti appassioni da piccolo oppure è difficile andando avanti. All’epoca ce n’era tanto, non come adesso. Ci si avvicina perché tutti provano a giocare a calcio… ma poi ti rendi conto che sei scarso e magari provi con qualcos’altro. Per noi è stato facile scegliere il tamburello perché i nostri genitori ci giocavano già. E’ una disciplina molto ripetitiva: più esegui gli stessi movimenti e più migliori. Non facevamo rientri a scuola e avere i pomeriggi liberi ci ha sicuramente agevolato. I nostri genitori avevano paura andassimo in giro mentre sapendoci al campo erano contenti… un po’ come adesso.
Qual è la storia dell’Asd Fontigo?
Nasce all’inizio degli anni Sessanta. La passione del tamburello, trasmessa dagli adulti ai ragazzi ed ai bambini, ha portato alla formazione di squadre in grado di competere in serie C, poi serie B, serie A1 e serie A2 nella quale è stata per due volte campione d’Italia; pure nella categoria pulcini si è fregiata del titolo di campione d’Italia. Dall’inizio del 2005 ha assunto l’attuale denominazione. Lo scopo dell’Asd Fontigo è mantenere le tradizioni sportive e non, del paese e conservare la coesione che queste provocano negli abitanti. La nostra società si sta organizzando per sviluppare altre attività sportive, soprattutto dedicate al settore giovanile, per arrivare al coinvolgimento massimo della popolazione. La mancanza di fondi e la prevaricazione di sport maggiori ha provocato la scomparsa delle squadre che, anni fa, si potevano contare numerose anche in provincia di Treviso. La scarsità di squadre nella Marca, la totale mancanza in quella di Vicenza, fa sì che le partite fuori casa richiedano trasferte tra i 150 ed i 250 chilometri. Il nostro è un impegno, non a 360 gradi, ma a 365 giorni l’anno, che volentieri dedichiamo alla realtà locale.
Cos’è il tamburello per un piccolo paese come Fontigo?
Non sarà un biglietto da visita, ma sicuramente è impossibile parlare di Fontigo senza pensare al tamburello. Per il paese significa tradizione, è uno sport che tiene unita la comunità. Un tempo i nostri nonni ci giocavano in piazza e c’erano altri due campi. Il tamburello, entro certi limiti, coinvolge tutti, dall’anziano al bambino. Crea momenti di convivialità, aggregazione e diventa argomento di cui parlare durante la settimana. Il contorno è ancora genuino: vi fanno parte anche le critiche, ma sempre educate e costruttive.
Com’è strutturata oggi la vostra società?
Allo stato attuale, come lo scorso anno, contiamo 6 squadre: Serie B, Serie D, Allievi maschile e femminile, Esordienti e Pulcini, quest’ultime due spesso unite in un’unica squadra di Esordienti per facilitare le trasferte.
Come prosegue la stagione e qual è l’obiettivo stagionale?
La stagione è cominciata bene nel pre-campionato. Poi, complice l’infortunio di un nostro elemento di spicco, sono arrivate le prime difficoltà. Il nostro cammino è altalenante: abbiamo perso punti con squadre alla nostra portata e vinto contro la prima in classifica, al termine di una partita tecnicamente perfetta, che ha permesso alla squadra di ritrovare il giusto spirito. L’obiettivo è quello di finire nella parte sinistra della classifica. Non abbiamo l’ambizione di centrare la promozione, ormai i giochi sono compromessi, ma vogliamo chiudere il campionato in maniera serena, senza lottare con l’acqua alla gola per non retrocedere… come lo scorso anno. A metà campionato ci aspettano due incontri di Coppa Italia, e anche lì ci teniamo a fare bene perché dovessimo passare il turno ci giocheremmo la finale ad agosto.
Quali sono le principali difficoltà nel portare avanti una realtà come la vostra?
Siamo riusciti a tenere in piedi il settore giovanile perché fortunatamente il Comune, nei primi anni Novanta, ci ha dotato di un apposito impianto sportivo. Per portare avanti questo impegno abbiamo deciso tra virgolette di accantonare la squadra maggiore, tant’è che i giocatori più bravi sono andati a giocare altrove, per puntare sui giovani. Quando i ragazzi sono cresciuti, quindi, siamo ripartiti dalla Serie D arrivando fino alla B e restandoci stabilmente, cosa per nulla semplice, soprattutto dal punto di vista economico. La nostra è una realtà molto piccola, di conseguenza dobbiamo arrangiarci con le nostre forze. Ci autofinanziamo con la tradizionale Festa della birra e qualche sponsor, ma comunque le cifre a disposizione non sono elevate mentre le spese sono molte. Per giocare, poi, c’è sempre bisogno del bel tempo e che i giocatori rinuncino ad andare al mare nel week-end magari, genitori compresi. Una squadra è composta mediamente da 6-7 persone: se anche un paio di queste si stufano, si fanno male o hanno impegni di qualche tipo… diventa un problema. Cosa che non capita, ad esempio, in provincia di Trento, dove il bacino d’utenza è ampio.
Cosa si può fare per far crescere il movimento e tornare ai fasti di un tempo?
Come società, ogni anno a settembre, partecipiamo Festa dello sport di Sernaglia. Inoltre giriamo nelle scuole per promuovere la nostra disciplina. Il problema è che il nostro gruppo è composto interamente da volontari e non possiamo permetterci il lusso di pagare qualcuno perché lo faccia. Bisognerebbe creare nuovi impianti, che spingerebbero la gente ad impegnarsi maggiormente e attirerebbero qualche sponsor, e al tempo stesso fondare nuove società. Serve una struttura, persone che reclutino i ragazzi perché manca il ricambio generazionale. Una pecca viene anche dalla federazione, che negli ultimi anni non è riuscita a promuovere in una maniera soddisfacente il movimento: servirebbero più stage o comunque campi scuola. Fino a dieci anni fa ci prodigavamo anche noi in questo senso, ma avevamo un appoggio. Arrivavano a Sernaglia una trentina di ragazzi e nell’arco di una settimana abbinavano l’attività sportiva alla conoscenza del territorio. Simili esperienze sarebbero da ripetere, ma al giorno d’oggi è impossibile accollarsi da soli queste spese. Se non si investe nel vivaio c’è poco da fare: i giovani sono l’anima… in tutti gli sport.
(Intervista a cura di Mattia Vettoretti © Qdpnews.it).
(Foto: Qdpnews.it).
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