Da Madrid a Marrakech, nel cuore del Marocco, sfidando il deserto. Il tutto su una Panda, senza l’aiuto della tecnologia. Non è uno scherzo, ma l’impresa compiuta da Andrea Gaggia (al centro nella foto sopra), 30enne originario di Ponte della Priula, e Marco Dal Mas (a destra nella foto sopra), 24enne di Tarzo, protagonisti poche settimane fa della decima edizione del Panda Raid, corsa automobilistica che celebra l’intramontabile classico di casa Fiat (ma aperta anche agli equipaggi a bordo della gemella spagnola, la Seat Marbella).
Un’avventura cominciata lo scorso anno, con la preparazione della vettura, ed entrata nel vivo a fine febbraio, quando l’utilitaria “made in Tarzo” ha raggiunto Barcellona via tir. Marco e Andrea sono arrivati qualche giorno dopo e da qui hanno raggiunto Madrid: circa 650 chilometri per testare il motore dell’auto ed affrontare le prime difficoltà. Poi la partenza ufficiale della gara dal circuito del Jarama: 3 mila chilometri nell’arco di una settimana, dal 2 al 10 marzo, prima di lasciare il Marocco e riabbracciare la famiglia.
Ma non è tutto perché la manifestazione unisce alla passione per i motori una missione solidale: regalare un sorriso ai bambini del posto, donandogli cancelleria, vestiario ed ogni bene di prima necessità.
Tornato a casa da pochi giorni, Andrea è passato a trovarci nella nostra redazione a Pieve di Soligo per raccontare in rappresentanza del team le emozioni vissute lontano dall’Italia.
QDP. Andrea, per cominciare… chi siete tu e Marco nella vita?
AG. Nella vita faccio il dj e sono il titolare di un ristorante in piazza Aurora a Jesolo, si chiama “Tengo cuore italiano”. Da sei anni lo gestisco insieme alla mia ragazza, Samantha. Sono originario di Ponte della Priula, ora abito in centro a Conegliano ma dal prossimo anno mi trasferirò a Corbanese. Marco invece è il cugino di Samantha, vive a Corbanese, dove lavora con i genitori come negoziante di frutta e verdura.
Cos’è il Panda Raid?
E’ una gara, ma di fatto non c’è una classifica e non ci sono premi. La manifestazione ha uno scopo benefico, quello di donare ai bambini che si incontrano durante il viaggio materiale scolastico, vestiario e beni di prima necessità. Secondariamente è un occasione per mettere alla prova delle macchine che non nascono propriamente per correre in simili condizioni. Sono auto da strade bianche, ma non possiedono sistemi di sospensione. Uno dei problemi principali di queste vetture, infatti, è rappresentato dai semiassi, che continuano ad uscire a causa delle sollecitazioni. Riuscire ad arrivare è un’impresa oltre che una grande soddisfazione… pensa di guidare una Panda per circa 350 chilometri al giorno, su un fondo che sembra quello del letto del Piave!
Com’è nata l’idea di parteciparvi?
Sono sempre stato appassionato di macchine, specialmente quelle più appariscenti, e quando vidi la Panda che si era comprato Marco cominciai a pensare che sarebbe stato bello partecipare alla gara. Così abbiamo preparato la mia e la sua (anch’io ne ho una): vetture abbastanza “estreme” ma che comunque potevano circolare per strada. Poi ci siamo appassionati dei viaggi che facevamo sulle montagne del territorio, sul Col Visentin, ad esempio, o sul Pian dee femene, fino a quando Samantha non ci ha detto: ma perché non vi iscrivete al Panda Raid? Conosco Roberto Bianchin, referente del progetto per l’Italia, e gli ho chiesto qualche consiglio… in passato mi aveva già chiesto di partecipare.
E lì è cominciato tutto…
Sì, erano i primi giorni dello scorso ottobre. Avevamo acquistato una Panda ormai dismessa dal Comune di Tarzo, pagandola 300 euro. Era ferma da un anno. L’abbiamo preparata nel magazzino di Marco, lavorandoci giorno e notte, ma non essendo del mestiere ci abbiamo impiegato molto tempo… quando cominci a modificare l’assetto originale cominciano anche i problemi. I pezzi ce li hanno forniti le aziende del territorio, ma per quanto riguarda i lavori ci siamo arrangiati. Diciamo che su tutto abbiamo puntato all’estetica: la nostra macchina sembrava una navicella spaziale. Nessuno si è presentato con un auto come la nostra, le altre squadre si sono concentrate maggiormente sul motore.
Il vostro team si chiama “Snotol dea Panda”. Come mai?
Lo snotol sarebbe lo snorkel, ovvero il filtro dell’aria artigianale. Un giorno lo abbiamo chiamato così e da lì per noi è rimasto snotol. Lo scorso anno, durante i test della vettura, ci siamo meravigliati delle sue prestazioni: l’acqua raggiungeva il cofano eppure la macchina non si fermava mai… Siamo andati addirittura nel fiume Tagliamento!
Qual era la vostra giornata tipo?
Partivamo la mattina, dopo la colazione. A pranzo mangiavamo al sacco, in mezzo al deserto, anche perché i ristoranti lì sono quelli che sono. Ci facevamo una pastasciutta con un fornello da campo e scattavamo qualche foto ricordo. Appena ci fermavamo spuntavano bambini da ovunque, eppure eravamo in mezzo al nulla: nel giro di 30 secondi intorno a noi c’erano 40/50 ragazzini.
Cosa vi ha colpito di più?
Che c’è tanta povertà vicino a casa… dopotutto non eravamo così distanti da qui. Nelle grandi città non ci si fa caso, ma quando si attraversano certi villaggi si capisce bene perché molti cerchino rifugio altrove: le case, ad esempio, sono fatte di terra e la gente cammina scalza. Questi bambini ci facevano tenerezza, non sapevamo neanche come comportarci. Chiedevano scarpe, quaderni, penne e acqua.
Quali sono state le maggiori difficoltà?
Sicuramente i primi giorni. In gara non puoi contare su nulla: conosci l’arrivo, ma non sai dove devi andare. A disposizione avevamo solamente un road-book con riportate le indicazioni da seguire, una bussola, ed un trip-master; un dispositivo che serve a misurare la distanza percorsa dal veicolo. Il problema è che tutte queste cose non sapevamo usarle. Il primo giorno abbiamo avuto anche un problema con la macchina e la sera prima della partenza della gara non avevamo dormito per metterla apposto: eravamo in tenda, per me era la prima volta, e fuori pioveva. E poi devi sapere in anticipo quali pezzi di ricambio potrebbero servirti … anche se poi quelli di cui avrai davvero bisogno saranno gli unici che non ti sei portato via: per sostituire il cambio in mezzo al deserto abbiamo dovuto spendere la bellezza di 750 euro. Ma o pagavamo o a quest’ora eravamo ancora lì.
Un’esperienza che però vi avrà regalato nuove amicizie…
Sì, in particolare abbiamo legato con altri tre equipaggi, due dalla Sicilia ed uno da Cuneo. Ne approfitto per ringraziare “San Vincenzo”, il “nostro” meccanico, che più di una volta ci ha sistemato la macchina, e “San Giuseppe”, che “benediva” il nostro viaggio ogni mattina. Entrambi provenivano da Rosolini, in provincia di Siracusa. E poi Alfio e Agostino da Catania, i “nostri” cuochi. Ed Emanuele, che lavora in Algeria, e Mindin, di origini marocchine: sapevano la lingua e ci hanno “salvato” in diverse situazioni. Abbiamo corso insieme fin dal primo giorno, fregandocene delle penalità se partivamo prima o dopo.
Dopotutto in palio non c’era nulla, anche se la gara prevedeva una classifica finale…
Ad ogni tappa era prevista una prova cronometrata sui 15 chilometri. Era una corsa di regolarità, un po’ come la Mille Miglia. Sapevi che ogni tratto era da percorrere ad una determinata velocità. In pratica arrivava primo chi si avvicinava di più alla media stabilita, ma non ne valeva la pena…
Immagino che comunque non siano mancati i momenti di competizione…
Sì, diciamo che per noi, ma un po’ per tutti, la prova a tempo si trasformava in una gara di velocità (ride ndr). Alle volte sembrava di correre la Parigi-Dakar: c’erano distese lunghe una cinquantina di chilometri e larghe una decina, dove le auto si allargavano e correvano parallele, con gli elicotteri dell’organizzazione che volavano sulle nostre teste. Lì superavamo anche i 100 chilometri orari. Altrimenti solitamente andavamo più a piano: correre con una Panda a pieno carico in un deserto pieno di sassi non è proprio il massimo!
Una bella esperienza: ci tornerete anche il prossimo anno?
Io penso di sì, Marco non so. Magari punteremo maggiormente all’aspetto meccanico della vettura, visto che a livello estetico abbiamo già fatto molto, e porteremo ancora più cose per i bambini. Mi sono già messo alla ricerca di nuovi sponsor, oltre a quelli che ci hanno già supportato quest’anno e che ringrazio dal primo all’ultimo. A livello personale ci tengo a ringraziare il mio amico Alberto Battistella (grazie a lui abbiamo portato un po’ di Pieve di Soligo anche in Africa), il Comune di Tarzo ed il sindaco Vincenzo Sacchet, il nostro “direttore dei lavori” Enrico Busolin (per tutte le foto che ci ha scattato durante il viaggio) ed infine, ma non per ultimi, la mia ragazza e mio figlio Alessandro: sono stato via due settimane e sia per loro che per me non è stato facile.
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(Intervista a cura di Mattia Vettoretti © Qdpnews.it).
(Foto: Snotol dea Panda e Qdpnews.it).
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