La notizia rischia di passare inosservata, senza clamori, senza particolare enfasi, come una questione di “routine”: nel ciclo delle stagioni, è ormai tempo di primavera, riapparsa a marcare le opere e i giorni della nostra vita con un senso pieno e condiviso di rinascita e di bellezza.
Proprio lei, la primavera a lungo citata, attesa e sperata nelle giornate fredde dell’inverno ormai alle nostre spalle, simbolo, espressione e immagine concreta della rinascita della natura, e di noi stessi. Perché questo tempo speciale dell’anno, da marzo a giugno, sta proprio significare questo cambiamento profondo nella dimensione del creato, che avvolge ogni manifestazione della vita generata fino a quel momento. Spuntano i germogli, i fiori, le foglie, si modificano l’aria, il sole e il cielo, si conclude il letargo di una serie di animali, si rimette in moto il grande e affascinante ciclo dinamico dell’esistenza di tutti gli esseri terreni.
E allora è tempo di alzare lo sguardo, di gustare la novità che arriva da ogni angolo di azzurro e di verde, di apprezzare la trasformazione del mondo sotto i nostri occhi, e di rimodulare noi stessi per questa nuova fase ricca di cose inedite e di favorevoli opportunità. Si tratta di entrare in una logica diversa, a diretto contatto con un’atmosfera in cui tutto diviene più lieve e sorridente. Di respirare a pieni polmoni in un ambiente mutato decisamente in meglio, di stupirsi per le meraviglie floreali che hanno radicalmente preso il posto delle cose brulle e tristi di prima, di godere per una rinascita complessiva di tutto quello che sta accanto a noi.
E alzare lo sguardo vuol dire proprio andare oltre il tran tran delle nostre solite storie, delle nostre scontate dimensioni interiori, del già acquisito e visto, e mettersi nella disponibilità di capire la profondità, l’altezza e la bellezza di tutto quello che sta cambiando, e sta effettivamente rinascendo, spesso senza la nostra precisa consapevolezza. E’ un modo diretto e positivo per capire come la nostra esistenza sia indissolubilmente legata alla natura che ci circonda, e come sia immersa nel tempo e nello spazio concreto, in possibile armonia, nel rispetto e nella cura per quello che rappresenta il creato per ciascuno di noi, favorendo un animo sereno proprio grazie alla simbiosi corretta e feconda con la natura.
Oltre noi stessi, uscendo dalla nostra autoreferenzialità, guardando alla primavera, potremmo capire veramente tutta l’importanza di stare al mondo in piena relazione con tutti i soggetti che lo compongono. Perché il clima, la terra, le acque, gli ambienti e i soggetti naturali sono la nostra “casa comune”, per tutti e per ciascuno, e proprio lo sguardo rinnovato di primavera sulla porzione del creato che ci sta accanto ci fa capire come tutti siamo responsabili della sua salvaguardia e custodia. Perché nessuno uomo è un’isola, e nessuno si salva da solo.
E c’è di più: in questo tempo speciale, ma anche negli altri periodi dell’anno, dovremmo alzare lo sguardo da quel mezzo della moderna tecnologia che ci fa stare fissi, ricurvi e concentrati sul telefono cellulare, simbolo paradossale di connessione ma al tempo stesso mezzo di autoreferenzialità e di solitudine. Non c’è niente da fare: troppo spesso, anche e soprattutto nei luoghi pubblici e nelle occasioni di ritrovo fra le persone, si possono vedere occhi puntati costantemente sui display, sugli aggiornamenti in tempo reale, sulla messaggistica dello smartphone, e negati invece agli incontri di parole e compagnia con il prossimo, con chi si trova appresso, con chi è sistemato vicino per ragioni di viaggio o di attesa, con chi è seduto allo stesso tavolo per il pranzo o per la cena, anche in famiglia, addirittura come coppie in un locale pubblico o al ristorante.
Strumenti sofisticati della tecnologia che si sono impadroniti delle nostre vite, le stanno rimodellando su schemi individualistici e di privatezza, dentro moderne dinamiche sociali che sono invece statiche rappresentazioni di soggetti distinti e distanti, poco inclini a comunicare con i volti e le vite, poco disponibile a stabilire confidenze, dialoghi e relazioni autentiche. Il bello è che a parole tutti sembriamo concordi nel manifestare disagio per questo fenomeno ormai assai radicato e diffuso, ma poi nei comportamenti concreti siamo ben lontani dal cambiare le nostre abitudini, così poco produttive nel senso di una migliore socialità, ricca di contenuti e di significati.
Serve alzare lo sguardo, dunque – in senso letterale, sul serio – in questo tempo di primavera, chiedendo a noi stessi la forza e l’umiltà per mutare passi e convinzioni, e volgere invece in direzione dell’umanità che si muove insieme a noi. Perché gli altri siamo noi. Ma non è tutto. Come affermava in una sua importante riflessione sul post Covid il noto sociologo Daniele Marini, in riferimento al futuro della società veneta dal punto di vista economico, occorrerebbe chiudere con il famoso adagio del “testa bassa e lavorare”, e mettere in atto quello del “testa alta e cooperare”, per mettere in moto processi innovativi di collaborazione, sinergia e rete, interni ed esterni, nel mondo delle aziende chiamate ad affrontare la fase delle dure sfide del mercato internazionale.
Anche qui, uno sguardo nuovo, alto, che non privilegia più il possibile successo marcato dall’individualismo, ripiegati su se stessi, provati e appagati per le proprie attività e i propri esclusivi interessi, ma che facilita la lungimiranza dei processi e delle visioni, lo stile dell’apertura e della cooperazione, la scelta vincente di preferire il successo di squadra, sempre e comunque. In definitiva, il creato, le persone e il lavoro di ogni giorno oggi reclamano occhi rinati e luminosi, uno sguardo alto, una pienezza di vita, oltre l’ambiziosa o rassegnata solitudine che non produce frutti di vita buona e di nuovo umanesimo.
(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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