L’informazione della scorsa settimana si è occupata della disputa sulle perizie che identificano l’Orsa JJ4 come responsabile del grave incidente che ha provocato la morte del giovane di Caldes (Trento).
La tragedia trentina ha colpito tutto il Paese, ma piuttosto di diventare l’ennesima querelle di un inutile dibattito pseudoscientifico base di scelte gestionali ben definite (che fine farà l’orsa?) credo invece dovrebbe aiutarci a metabolizzare culturalmente le diverse competenze che gravitano attorno alla conservazione della natura e un richiamo alla recente disinformazione pandemica con la quale abbiamo convissuto penso possa aiutare
Quello che segue NON è un confronto tra fatti, cioè tra pandemia e incidente mortale trentino, ma sull’informazione dei fatti.
Dal momento in cui è stato identificato il virus SARS-CoV-2 come responsabile della malattia denominata COVID-19 siamo stati investiti da una vera e propria infodemia; tutti noi ricordiamo quando i mezzi di comunicazione, i social media e le piattaforme online produssero quotidianamente quell’enorme quantità di informazioni, molte delle quali non vere o incerte, causa di confusione e disorientamento per molte persone.
Tralasciando notizie tendenti al complotto o chiaramente fuorvianti, sulla nostra pelle abbiamo misurato come lo scopo di intrattenere e non di informare tipico dei social media si sia trasferito ai media tradizionali (TV, radio e carta stampata) che, complessivamente, hanno offerto un disservizio scatenante incredulità, fino ad una vera e propria angoscia, figlia di un’informazione superficiale e goffa dovuta alla mancanza di conoscenza della complessità dei saperi e delle professionalità coinvolte nell’emergenza pandemica.
Trattandosi di una zoonosi, la cooperazione tra medicina veterinaria, biologia, medicina umana e farmacologia è stata il faro scientifico grazie al quale ci siamo salvati (purtroppo non tutti!). Per non entrare nelle sotto discipline delle diverse facoltà scientifiche e immaginando che sia più facile distinguere tra le varie specialità mediche umane (presupponendo che almeno una volta nella vita ognuno abbia frequentato un ospedale) sarebbe bastato che l’informazione sapesse distinguere tra facoltà diverse e almeno tra medici umani virologi, immunologi ed epidemiologi in modo tale da fornire chiarimenti precisi e utili a cittadini disorientati.
Tutto questo non è avvenuto (con le dovute eccezioni, fortunatamente!) e l’informazione ha travisato il proprio ruolo confondendo i diversi mestieri e le professionalità degli interlocutori, per non parlare della difficoltà di distinguere tra argomenti scientifici (compito degli scienziati), gestionali (compito dei funzionari e dirigenti dello Stato) e scelte politiche e, soprattutto, di differenziare opinioni legittime da analisi scientifiche (quindi condivise) dei fatti.
Ora, il focus dell’attenzione va all’informazione sull’Orsa JJ4 e alle perizie che la riguardano dove ci sembra di rivivere gli ostacoli informativi conosciuti durante la pandemia.
La medicina veterinaria forense è una branca della medicina veterinaria che si occupa dell’applicazione dei principi scientifici e medici alle questioni legali e giudiziarie relative agli animali non umani. Il medico veterinario forense ha il compito di esaminare la “scena del crimine” quando questa coinvolge una specie selvatica perché un suo esame sommario da parte dell’ufficiale di polizia che dirige il sopralluogo, del biologo o anche del veterinario chiamato sul campo perché unico reperibile in zona, quasi sempre giunge a conclusioni sbagliate.
D’altro canto, considerazioni e discussioni genetiche, ecologiche ed etologiche afferiscono a branche scientifiche diverse dalla medicina veterinaria. Lavoriamo tutti in campi multidisciplinari, ma diventare “esperti” in saperi diversi dalla propria formazione ha poco senso e crea disagi crescenti. Confidiamo tutti che il buio pseudoscientifico sperimentato in epoca pandemica insegni qualcosa a tutti noi.
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