Caorle, quando i pirati triestini rapirono le vergini veneziane

Quando i pirati triestini rapirono le vergini veneziane

Ogni estate a Porto Santa Margherita, popolare meta turistica affacciata sulla foce del Livenza a sette minuti dal centro di Caorle, si combatte per trovare un parcheggio, prenotare un tavolo al ristorante o aggiudicarsi un posto barca. Vi fu però un tempo in cui Santa Margherita fece da sfondo a lotte di ben altra natura, nelle quali il sangue scorreva copioso e tingeva di rosso le acque dell’Adriatico.

Un’esclamazione divenuta emblematica, “Mamma li Turchi!” rende bene l’idea del perenne stato di allerta nel quale per secoli hanno versato i naviganti e gli abitanti delle località costiere della nostra penisola. Lungo il litorale adriatico e tirrenico è frequente imbattersi in torri d’avvistamento, rocche e fortificazioni edificate per proteggersi da predoni dai nomi inquietanti e dalla fama sinistra: Uscocchi, Narentani, Barbareschi, responsabili di improvvise e crudeli incursioni che non risparmiavano i borghi dell’entroterra. A portare il terrore erano i pirati, autentici banditi del mare e i corsari, altrettanto spietati ma accreditati presso i governi che autorizzavano i loro saccheggi con la concessione della cosiddetta “lettera di corsa”.

Neanche Venezia, che pure poteva contare sulla protezione naturale offerta dai numerosi isolotti lagunari, era al sicuro da questa minaccia. Se ne ebbe la riprova alle soglie dell’anno Mille quando un manipolo di pirati giunti dall’Istria nei giorni della Candelora si gettò famelico su un gruppo di giovani donne in procinto di sposarsi.

In concomitanza con l’anniversario della traslazione delle spoglie di San Marco e alla vigilia della Purificazione di Maria, nella chiesa veneziana di San Pietro in Castello era costume celebrare le nozze di dodici donzelle povere, ma dalla condotta esemplare. Quella volta i pirati, trascorsa la notte nascosti negli orti, al momento opportuno entrarono in azione e non si accontentarono dei gioielli dati in prestito alle fanciulle dalla Serenissima, dei cofani di legno contenenti la loro dote, ma le rapirono dileguandosi nella laguna a bordo di veloci imbarcazioni. L’audace Doge Candiano II (o forse III) non esitò a radunare gli uomini più valenti e porsi immediatamente all’inseguimento dei pirati che le cronache dell’epoca individuano come “Slavi e Triestini”. I ladroni, racconta lo storico Trino Bottani, furono rintracciati a Porto Santa Margherita “occupati a dividere la bella e ricca preda”, “dimentichi del rischio cui trovavansi esposti”. L’epilogo è facilmente immaginabile: i “bravi Veneziani” con l’aiuto dei fidati caorlotti si ripresero le vergini, il bottino e fecero letteralmente a pezzi i pirati lavando l’onta col sangue. A distinguersi nella feroce rappresaglia furono soprattutto i casselleri, artigiani della Serenissima specializzati nella produzione di casse in legno, finemente intarsiate o dipinte, destinate a contenere merci preziose e corredi nuziali. A perenne ricordo dell’avvenimento il luogo della strage fu ribattezzato Porto (o riva) delle donzelle e fu inaugurata una solenne tradizione: nella settimana precedente la Candelora dodici fanciulle, le Marie, attraversavano Venezia indossando abiti sontuosi e costosi monili, accompagnate da suoni e canti. Il 2 febbraio, festa della Purificazione, le ragazze guidate dal Doge si recavano prima a San Pietro di Castello per assistere alla Messa poi nella chiesa di Santa Maria di Formosa, sede della “Scuola dei casselleri”, ove ricevevano le candele benedette. Sempre in quella circostanza, il Doge versava un donativo al pievano di Santa Maria e da questi, in ossequio a un antico e scherzoso rituale, riceveva due cappelli di paglia dorata per ripararsi dalla pioggia, due fiaschi di malvasia e due arance per placare la sete.

Trascorsi alcuni anni, forse per contenere le spese o per scongiurare altre scorribande piratesche, alle dodici donzelle subentrarono altrettante figure in legno ribattezzate Maria de tola, de legno o Marione che l’ironia popolare ha trasformato in sinonimo di donne ossute, poco attraenti e dal temperamento gelido. Non solo: di pari passo con la sfilata delle Marione si diffuse la consuetudine di produrre delle bambole in scala ridotta, ma con le stesse fattezze dei fantocci di legno; erano nate le marionette, i pupazzi mossi dai fili che assieme ai burattini, calzati come un guanto, continuano a calcare le scene dei teatrini per ragazzi.

La festa delle Marie terminò nel 1379 e della tradizione si conservò soltanto la visita annuale del Doge a Santa Maria di Formosa. Di recente, alcuni cultori delle tradizioni locali, hanno pensato di riproporre una rievocazione storica per salvare dall’oblio una pagina di storia dai contorni cruenti, il ratto delle donzelle, ma dalla quale sono scaturiti aspetti sicuramente più divertenti e pittoreschi. 

(Foto: Wikipedia).
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