Carcere e lavoro: questo binomio è stato al centro di un convegno organizzato nel pomeriggio dello scorso mercoledì 5 ottobre, nella suggestiva aula magna dell’Ateneo Veneto, in campo San Fantin a Venezia (un evento accreditato dall’Ordine dei giornalisti del Veneto, in collaborazione con il Sindacato dei giornalisti), moderato da Antonella Magaraggia, presidente dello stesso Ateneo Veneto.
Un’occasione di riflessione su quanto il lavoro possa avere un impatto positivo non soltanto sui detenuti, ma anche sulle imprese, specialmente in questo periodo storico così complesso.
Secondo i dati forniti nel corso dell’incontro, solamente l’11% dei detenuti lavora all’esterno del carcere, mentre la percentuale restante è impiegata in varie mansioni (cucine, laboratori, eccetera) all’interno delle strutture carcerarie. Inoltre, è interessante notare come i casi di recidiva siano notevolmente più bassi tra i detenuti che svolgono una professione regolare.
Il lavoro, più in generale, è considerato un elemento che “connota l’esecuzione della pena” e deve essere inteso come “un risarcimento nei confronti della società”, sebbene non sia obbligatorio per i detenuti, e “deve essere equiparato con il lavoro della persona libera, con gli stessi diritti e doveri”, ovvero con il diritto di retribuzione (che corrisponde ai due terzi della retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva), le ferie e i giorni di malattia retribuiti, le contribuzioni.
Tra il 1991 e il 2021 la percentuale di detenuti che lavorano resta stabile al 34,46%, secondo quanto riferito da Carlo Renoldi (capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria), e attualmente la difficoltà starebbe proprio nell’andare oltre questo dato percentuale, mentre la rilevanza del lavoro carcerario sta nella prospettiva di poter costruire una vita futura e di inserimento nella società, una volta concluso il percorso di pena.
Si stima che nel 2021 siano stati 124 i milioni di euro stanziati per le retribuzioni dei lavoratori-detenuti, a fronte dei 53 mila carcerati impiegati in una mansione.
Nel corso del convegno è stato mostrato un documentario realizzato proprio sul tema “Carcere e lavoro”, realizzato da Giovanna Pastega e Andrea Basso nelle case circondariali di Treviso e della Giudecca a Venezia. In quest’ultimo caso, ad esempio e come spiegato da Maria Milano Franco D’Aragona (provveditrice regionale del Veneto-Friuli Venezia Giulia-Trentino Alto Adige), 55 detenute sulle 73 che si trovano alla Giudecca sono lavoratrici in una lavanderia interna che rifornisce anche gli hotel della città e in due laboratori di sartoria e cosmesi.
“Tutto questo per mostrare che è possibile vivere il carcere come una risorsa – ha commentato Angela Venezia (direttrice Ufficio detenuti e trattamento del Provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria Veneto-Friuli Venezia Giulia-Trentino Alto Adige) – Il carcere è un momento di riflessione per chi ha sbagliato e il compito dell’amministrazione penitenziaria è quello di fornire una nuova visione del carcere stesso”.
“Mostrare un’altra possibilità” è quindi il concetto ribadito più volte nel corso dell’incontro e, per tal motivo, è stato rivolto un invito al mondo imprenditoriale, affinché le imprese possano affacciarsi al mondo carcerario e fornire ai detenuti la possibilità di “fare delle scelte” e, di conseguenza, di reinserirsi.
Secondo Tiziano Barone, direttore di Veneto Lavoro, “la partita con il lavoro è la partita con la realtà”, mentre Paolo Armenio, vicepresidente di Confindustria Venezia Rovigo, il caro energia starebbe compromettendo la possibilità di collocare, lavorativamente parlando, sia i detenuti che le persone libere. Pertanto, a suo avviso, sarebbe necessario dei tavoli permanenti tra le imprese e le amministrazioni penitenziarie, per avvicinare questi due mondi e creare delle opportunità valide e oggettive: “Siamo pronti, ma con qualcosa di concreto”, ha detto.
All’appuntamento sono intervenuti anche Daniele Minotto, vicedirettore dell’Associazione veneziana albergatori, Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio Studi CGIA di Mestre, e Flavia Filippi, giornalista del tg La7 e fondatrice dell’associazione “Seconda Chance”.
Zabeo ha evidenziato la necessità di incrociare non solo le necessità e gli interessi delle imprese con le amministrazioni penitenziarie, ma di coinvolgere anche le associazioni di categoria nel ruolo di mediatori, poiché “hanno sensibilità e conoscono il territorio”. Binotto, invece, ha riferito come l’inserimento lavorativo dei detenuti avvenga tramite il passaparola, quando sarebbe necessario, pertanto, creare un sistema più stabile fatto di diversi anelli di congiunzione.
Flavia Filippi ha invece raccontato il lavoro svolto dalla sua associazione, che avrebbe attualmente consentito di trovare 110 posti di lavoro a detenuti, ex detenuti, ai loro familiari o a persone che si trovano agli arresti domiciliari. “Siamo qui per proporci come snodo”, ha affermato Filippi, specificando che gli imprenditori coinvolti in questi percorsi godono di uno sconto per il pagamento delle tasse.
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