Chi erano i Morlacchi?

Fra i circa quattrocento prodotti agroalimentari tradizionali del Veneto, due hanno un esplicito legame con una misteriosa popolazione di origine balcanica: il Morlacco, apprezzato formaggio del Grappa, e il Sangue Morlacco, un liquore a base di ciliegie marasche che deve il proprio nome al poeta Gabriele D’Annunzio.

Ma chi erano i Morlacchi? E cosa c’entrano con il Veneto? 

Partiamo da uno spazio geografico ben preciso, la Morlacchia, una regione collocata fra il litorale adriatico e le Alpi Dinariche, un tempo compresa nella Jugoslavia e oggi attraversata dalle frontiere di Croazia, Bosnia Erzegovina e Montenegro. I Morlacchi, popolazione seminomade dedita alla pastorizia e al piccolo commercio, giunsero in questo territorio in epoca remota, alla ricerca di nuovi pascoli per il loro bestiame. Originari dei deserti kirghisi e delle steppe attorno al Mar Caspio essi facevano parte alla grande famiglia dei Valacchi le cui tracce si ritrovano in Serbia, Romania, Albania, Dalmazia, Macedonia, Grecia, Bulgaria e nel Triveneto. Nel corso delle varie migrazioni è probabile che i Morlacchi, il cui nome potrebbe essere collegato con i caratteristici mantelli neri che indossavano, si siano mescolati con le tribù illiriche, celtiche e con i coloni romani: da ciò deriverebbe l’assimilazione della lingua latina e la conversione al cristianesimo.

Conosciuti anche come Latini neri o Latini delle montagne, i Morlacchi facevano la spola fra la montagna e il mare, la natura selvaggia e i mercati di città, ove offrivano carne, formaggio, lana e si approvigionavano di sale, indispensabile per la loro attività pastorale.

L’organizzazione sociale basata sui clan familiari e la propensione a spostare con una certa frequenza i loro insediamenti li rendevano refrattari nei confronti della dominazione statale alla quale preferivano di gran lunga l’autonomia. Indomiti e all’occorrenza bellicosi i Morlacchi si rivelarono provvidenziali per gli imperi che si contendevano la penisola balcanica. Stanziati nelle regioni di frontiera più remote, abili cavalieri e coraggiosi combattenti, furono integrati nei ranghi dell’esercito ottomano senza ricevere alcuna paga, ma accontentandosi semplicemente del permesso di girare armati.

La Serenissima impose ai Morlacchi uno stile di vita più sedentario affidando loro compiti di difesa territoriale contro l’avanzata dei Turchi. Un patto nel quale individuare le premesse o forse le conseguenze di una pacifica migrazione di alcune tribù morlacche in Veneto, avvenuta nel Basso Medioevo.

Chi volesse avere un’idea dell’aspetto delle genti morlacche può ricorrere alle tavole di Théodore Valerio (1819 – 1879), pittore e viaggiatore di origini italiane e nazionalità francese che percorse in lungo e in largo la penisola balcanica affascinato da quel mosaico etnico e culturale in precario equilibrio fra oriente e occidente. I Morlacchi disegnati da Valerio conservano l’aspetto fiero e indomito dei pastori nomadi asiatici e danno l’impressione di essere affatto remissivi. Un mercante di pollame dal fisico statuario, con tanto di baffoni spioventi e pugnale infilato nella fusciacca, offre la propria mercanzia con malcelato orgoglio; tre donne abbigliate con il costume tradizionale ritratte a Spalato assieme alle loro pecore emanano un misterioso fascino orientale. Infine, due suonatori di gaida, la cornamusa balcanica, si esibiscono in un accampamento dalmata accompagnati da un giovane pifferaio scalzo; sullo sfondo alcuni uomini con il turbante e un lungo codino brindano solennemente.

Sebbene giudicati “primitivi” e intemperanti i Morlacchi suscitarono molta curiosità e altrettanta ammirazione nei viaggiatori occidentali influenzati dal mito del “buon selvaggio” propugnato da Rousseau. Lo scienziato padovano Alberto Fortis (1741 – 1803), in missione per conto del Senato veneziano, nel suo “Viaggio in Dalmazia” dedicò diverse pagine a questa popolazione caparbiamente attaccata alle proprie proprie tradizioni e che egli paragonò ai greci di Omero. A Fortis si deve anche la trascrizione di un canto morlacco del Seicento, la Hasanaginica, una ballata conosciuta anche come Canzone dolente della nobile sposa d’Asan Agà.

Il tempo tuttavia trascorre inesorabile, la storia fa il suo corso e oggi dei Morlacchi restano soltanto tracce quasi impercettibili: qualche toponimo, alcuni acquerelli, pochissime e controverse fonti scritte, il romantico ricordo di abiti sontuosi e magnificamente ricamati. In un censimento del 2001 si sono dichiarati morlacchi, o meglio vlasi, soltanto tre abitanti di Castua (Kastav) nella storica regione della Liburnia croata.

Ebbene: se il Morlacco del Grappa, più del liquore di marasche, rappresenta davvero un’eredità di questa popolazione laboriosa, fiera e avvolta nel mistero è un motivo in più per apprezzarlo, tutelarne la tipicità e gustarlo con rispetto, pensando ai leggendari pastori-guerrieri partiti dall’Asia e pacificamente approdati sulle nostre montagne.

(Autore: Marcello Marzani)
(Foto: Wikipedia)
(Articolo di proprietà di Dplay Srl)
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