Domani riapre la ferrovia del Cadore. L’Amarcord: da Venezia a Calalzo a bordo delle “745”, le ultime locomotive italiane a vapore

Arriva l’estate e, con essa, il ritorno del servizio ferroviario sui binari cadorini. La data, già cerchiata in rosso da molti residenti e turisti, è quella di domani domenica 9 giugno, quando fin dal primo mattino i treni diesel torneranno ad effettuare, tra Calalzo e Ponte nelle Alpi Polpet, il servizio viaggiatori interrotto la scorsa Pasqua per lavori programmati.

Non è sempre facile districarsi nel dedalo di chiusure e riaperture (sempre per lavori) delle ferrovie del Bellunese e dell’Alta Marca, infrastrutture che rappresentano una risorsa molto utile per la mobilità sostenibile oggi e – più che mai – in occasione delle Olimpiadi e Paralimpiadi invernali di Milano Cortina 2026, ma la riapertura dell’affascinante ferrovia cadorina, soprattutto dopo i lunghi stop che si stanno susseguendo negli anni, costituisce sempre una festa.

Oltre al servizio ordinario, la stagione estiva vedrà il ritorno sulla ferrovia del Cadore dell’omonimo “Espresso” di Fs Treni Turistici Italiani, confermato anche nei mesi caldi dopo l’esordio invernale e la sperimentazione della scorsa estate. Ritorna domani anche l’ormai consolidato servizio TrenoBiciBus delle Dolomiti, il collegamento diretto di andata e ritorno tra Venezia e Calalzo con orari particolarmente appetibili per i cicloturisti.

In viaggio… nel tempo

Nel terzo millennio la maggior parte di noi oggi considera normale e scontato che si possa raggiungere Roma da Venezia in tre ore e mezza di treno ad alta velocità con un’offerta di classi e orari adatti a qualsiasi esigenza. Ma se torniamo indietro anche di pochi anni, scopriamo che le cose erano ben differenti.

Ne è un esempio la Freccia della Laguna degli anni Ottanta che impiegava sei ore a coprire la stessa distanza grazie alle elettromotrici Ale601. E prima? Ecco aprirsi l’affascinante era del vapore. Nella rete ferroviaria non elettrificata del Veneto, come la linea Conegliano-Calalzo, fino a metà degli anni Sessanta, oltre ai collegamenti “direttissimi” effettuati tramite le Littorine di limitata capienza, esistevano delle locomotive a vapore del gruppo 745, un modello riuscito che rappresentò l’orgoglio dell’Ufficio Studi Locomotive delle Ferrovie dello Stato.

Nelle nostre zone fino al 1964 faceva spola come “diretto” estivo tra Venezia e Calalzo, coprendo la distanza in circa quattro ore. Purtroppo di questi giganti d’acciaio non ne resta più nemmeno uno, perché furono ritirati nel 1970 e in seguito demoliti.

Fortunatamente c’è chi è riuscito a raccogliere la loro storia in un libro (“Le 745 di Padova – gli ultimi servizi di una locomotiva affascinante” – edizioni Pegaso, Firenze) attraverso foto e testimonianze dell’epoca. È Renato Cesa De Marchi, ex dirigente delle ferrovie e grande appassionato di treni d’epoca. Lo abbiamo incontrato a Roma.

Come si svolgeva un viaggio a vapore da Venezia a Calalzo, in particolare lungo la salita del Fadalto a nord di Vittorio Veneto?

“Il servizio del personale di macchina sul tratto a vapore in salita era molto gravoso: un continuo spalare carbone nel forno da parte del fuochista con il disagio procurato dal fumo nelle gallerie. Un vero inferno. La peggio l’aveva il personale posto in coda sulla locomotiva di spinta, dove c’era la somma del fumo con quello della locomotiva di testa. Mi raccontavano i macchinisti che nelle gallerie si stendevano sul pavimento per cercare di respirare l’aria che rimaneva nella parte bassa del tunnel, meno invasa dal fumo.

Era una locomotiva azzeccata. Si distingueva dalle altre locomotive europee ed americane perché aveva una linea più snella ed elegante. Fu una delle più belle, se non la più bella locomotiva italiana. Era stata progettata negli anni immediatamente precedenti alla Grande Guerra per il servizio sulla dorsale calabra e percorse in seguito anche le linee appenniniche tra Roma e Ancona. Concluse la carriera in Veneto sulle linee Padova-Bassano del Grappa e Venezia-Cadore. Veniva prodotta nei cantieri Breda e Ansaldo, e garantiva una velocità massima di 75 km/h con una potenza di 1.250 cavalli, poca cosa in confronto agli Italo o Frecciarossa di oggi”.

Com’era stata concepita la rete ferroviaria rispetto alle esigenze di oggi?

“Dobbiamo ringraziare i nostri nonni perché riuscirono a realizzare una rete che oggi rimane in gran parte ancora valida. Certo, le caratteristiche costruttive erano quelle dell’epoca, ovvero la seconda metà dell’Ottocento o al massimo gli anni Venti e Trenta del Novecento, per cui oggi si sono dovuti correggere i vecchi tracciati o costruirne di nuovi per adattare l’alta velocità”.

Oggi non esiste più la terza classe. C’era forse una differenziazione maggiore tra i ceti sociali?

“Certamente. In prima classe viaggiavano le classi più abbienti, nella seconda il ceto medio di allora, mentre la terza classe era riservata agli operai e contadini. Le tre classi nel 1956 sono state ridotte a due in contemporanea su tutte le ferrovie europee”.

All’epoca serviva acqua e carbone, oggi energia elettrica. Come venivano gestiti gli approvvigionamenti?

“Per il carbone si era costretti a ricorrere a forniture estere, essendo l’Italia sprovvista di proprie risorse in tale ambito. Proprio per questo nel nostro Paese si sviluppò fin dal 1907 un vasto programma di elettrificazioni iniziata sul Passo dei Giovi, inizialmente col sistema trifase a 3.600 volt, poi a partire dal 1930 con corrente continua a 3.000 volt. Questo processo avvenne molto prima che in altri Paesi”.

Negli anni Sessanta sembrava che l’automobile dovesse soppiantare il treno nel giro di pochi anni. A quanto pare non è stato proprio così. Perché?

“Soprattutto per un problema di spazio fisico nel contesto delle aree urbane, dove con l’aumento delle vetture circolanti si sono creati intasamenti e rallentamenti. Al di fuori delle aree urbane le autostrade hanno consentito notevoli volumi di traffico e viaggi veloci. C’è da notare però che, a differenza del treno, l’automobile è legata al concetto di marcia a vista con singolo guidatore che impedisce di superare in sicurezza certe velocità. Il treno invece si muove con sistemi di controllo sofisticatissimi e chi lo guida ha una preparazione tecnica di gran lunga superiore al conducente medio d’automobile. Si possono così avere velocità d’esercizio anche di 300 km/h in piena sicurezza, livelli irraggiungibili per l’automobile”.

L’ingegnere Renato Cesa De Marchi, che nel 2019 concesse a Qdpnews.it questa bella intervista – testimonianza, è morto nel 2021. Era nato a Caneva (Pordenone, al confine con l’Alta Marca) nel 1940 e oltre a una lunga e prestigiosa carriera nelle Ferrovie dello Stato documentò la realtà delle ferrovie italiane con migliaia di foto e ore di filmati. Scrisse libri e realizzò Dvd a tema ferroviario.

(Servizio, foto e video sulle locomotive a vapore a cura di Giovanni Carraro © Qdpnews.it)
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