Nel 2022 il termine “zoo”, inteso come un’area dove gli animali selvatici vengono mantenuti in cattività, non è più adeguato a descrivere alcune strutture zoologiche: per alcune, quelle nate da un approccio scientifico e da un’etica mirata alla conservazione delle specie, non lo è mai stato.
È il caso del Parco Natura Viva di Bussolengo, nel parco del Garda, dove la custodia di alcune specie in via d’estinzione è l’unico modo per garantirne la sopravvivenza in quella che gli scienziati già definiscono l’era della “sesta estinzione di massa”: il termine giusto, in questo caso, è “human care”.
Dietro a queste due parole si sviluppa un concetto importante, capace di sciogliere ogni pregiudizio e interpretare diversamente ogni gabbia o recinzione: gli animali non sono di nessuno, non hanno un proprietario, sono in affidamento a degli specialisti che se ne prendono cura in una struttura adeguatamente attrezzata e – vedremo poi – sostenibile, invece che in natura, dove al momento corrono pericoli ben più grandi.
Esplorando la vastità del Parco Natura Viva assieme al direttore scientifico Cesare Avesani Zaborra, scopriamo anche la moltitudine di progettualità che si rivolgono all’esterno della struttura e che vengono promosse a livello internazionale, dall’Europa al Pacifico, in collaborazione con altre strutture e associazioni che condividono gli stessi obiettivi.
La volontà di salvare delle specie, alcune delle quali sono completamente scomparse dal loro habitat naturale, viene visibilmente condivisa dallo staff del parco, ma deve fare i conti anche con la sostenibilità economica, che in questi due ultimi anni è stata altalenante, specialmente come conseguenza dell’incremento dei costi.
Grazie all’ottenimento di alcuni finanziamenti europei, il Parco ha potuto comunque investire in nuove strutture, fondamentali specialmente da un punto di vista didattico: se comprendere i segreti dell’evoluzione garantirà una nuova consapevolezza nei confronti dell’ambiente, l’esperienza di questo parco si rivela un modo piacevole per apprenderne molti.
Composto da un percorso pedonale e da un circuito Safari, il parco ospita circa 1500 animali appartenenti a oltre 200 specie: alcuni di loro sono stati confiscati dagli enti regolatori del CITES, ovvero la Convenzione di Washington sul Commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate d’estinzione, altri sono talmente rari che è quasi impensabile osservarli in natura.
Al Natura Viva, poi, c’è spazio persino per vedere gli animali che non ci sono più e quelli che, pur a rischio, ancora non è possibile conservare al parco (proseguendo nella lettura si capirà il perché): alcune delle storie di questi animali, che inevitabilmente incontrano quelle degli ostinati biologi che le raccolgono, sono capaci di sorprendere anche il visitatore più distratto. Prima tra tutte c’è quella di Pippo, l’ippopotamo che fondò il parco, reso immortale con una statua davanti all’ingresso della sezione faunistica.
“Pippo è l’antesignano di tutti i parchi del Garda – spiega il dottor Avesani – È arrivato qui da un circo, è rimasto qui fino al 2009 e ha dato la spinta ad aprire al pubblico un’area dedicata agli animali in difficoltà. La cosa da considerare è che all’epoca era un animale molto comune in Africa, oggi invece è diventata una specie vulnerabile nella lista rossa delle specie a rischio”.
Dal 1985 non si hanno notizie in natura di un Orice dalle corna a sciabola: questa specie fa parte della penultima categoria della IUCN e sopravvive in piccole riserve in Tunisia, Marocco e Senegal.
Al parco questa particolare antilope si può osservare da vicino, ignara di essere tra le ultime al mondo: la libertà sarebbe un rischio troppo grande per la sopravvivenza della sua specie, così gli esemplari vengono conservati all’interno della struttura, dove possono riprodursi e dare continuità alla loro stirpe.
È molto rara anche la coppia di avvoltoi indiani reali, nell’area continentale Asia: imponenti quanto minacciati, come conseguenza della scomparsa degli ungulati selvatici, della caccia, dell’intensificazione dell’agricoltura e della diffusione di alcune malattie.
Già da una certa distanza, percorrendo l’area che delimita il continente africano, si percepisce il particolare richiamo del lemure indri: avvicinandosi all’area, però, l’animale non si vede.
“Non si vede perché non c’è – spiega Avesani, – si tratta di una specie gravemente minacciata ed è uno dei pochi animali che non è possibile gestire e allevare nei parchi zoologici per via della sua alimentazione”.
Non a caso, nel lontano Madagascar, Natura Viva porta avanti un progetto di educazione che mira a sensibilizzare le nuove generazioni in loco sull’importanza di conservare la foresta pluviale e di rispettare quindi l’habitat di queste specie a rischio.
Tra i progetti ve ne sono anche sul catta, un’altra tipologia di lemure, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino.
Al Natura Viva esiste una vasta varietà di tartarughe, dai carapaci più piccoli a quelli colossali: quelle più evidenti, per definizione, sono le tartarughe giganti delle Seychelles: questa specie, questa volta a causa diretta e indiretta del turismo, ha visto una diminuzione in numero dell’85%. Anche per loro esiste un progetto: ovvero quello di inserire microchip in questi animali così da scoraggiare il furto di questi animali.
Per chi pensa che l’estinzione di specie animali riguardi soltanto località esotiche, il Parco Natura Viva ha due esempi europei di progetto di tutela: il bisonte europeo, che oggi esiste soltanto in alcune zone della Bielorussia e non più in Polonia, è stato reintrodotto a partire dalla Slovacchia; il gipeto delle alpi – che era stato praticamente estinto dagli allevatori italiani – è stato parzialmente ripristinato in Friuli grazie a un progetto che ogni anno, all’oasi del Cornino, ne vede tornare 600 esemplari. Il progetto di reintroduzione in natura di animali nati all’interno dei giardini zoologici ha avuto luogo anche in Europa, con la reintroduzione, per esempio, di alcuni esemplari di bisonte europeo, trasferiti da questo parco fino ai Monti Tarcu, nei Carpazi.
Una delle storie più incredibili riguarda l’ibis eremita: si tratta di un uccello scoperto soltanto nel 1950 e reintrodotto in natura, più precisamente nell’Oasi di Orbetello, con un sistema capace di ricostruire artificialmente l’istinto di questi volatili nell’individuare, riconoscere e seguire una rotta migratoria, così da insegnarlo alle generazioni future.
In particolare, le mamme adottive salgono a bordo di alcuni ultraleggeri, si fanno seguire dagli esemplari di questo particolare uccello nati nel parco, superano le Alpi e raggiungono la destinazione, dalla quale gli ibis dovranno poi ritornare da soli.
Insegna molto anche il Parco dell’Estinzione, creato assieme ai migliori paleontologi d’Italia: oltre ai classici dinosauri, che – diciamocelo – piacciono sempre, il Parco Natura Viva ha ricostruito in scala alcuni degli esemplari che si sono dimostrati essere “vicoli ciechi dell’evoluzione”: come l’Indricotherium, un parente lontano dei rinoceronti, che fu il più grande mammifero terrestre e che, proprio per i limiti della sua stazza, probabilmente, era destinato a una rapida estinzione. Come quest’ultimo, in questa sezione “più silenziosa” ci si può rendere conto “dell’artigianalità” dell’evoluzione nel suo graduale perfezionarsi, secolo dopo secolo, non senza qualche imprecisione.
E se tra gli animali del presente e gli animali del passato c’era un vuoto troppo grande, la nuova area inaugurata recentemente, ricavata da una precedente serra, è dedicata al fenomeno del gigantismo: “House of Giants” è una serra tropicale dove vivono rettili, anfibi e insetti, che nel tempo hanno modificato le dimensioni del loro corpo, un fenomeno che spesso si verifica sulle isole e che per questo vive oggi di spazi limitati e, di conseguenza, equilibri delicati. Il percorso, che inizia all’interno con il leggendario Varano di Komodo, spiega alcune semplici regole sull’evoluzione, come che il predatore carnivoro diventa più piccolo quando ha meno prede.
Gli obiettivi di sostenibilità del parco appaiono chiari anche nella visione del direttore scientifico Cesare Avesani, che dopo tanti anni da ricercatore mostra ancora una passione pulsante per questa struttura.
“Queste superfici erbose garantiscono a tutti gli erbivori un eccellente valore nutrizionale, per questo non vengono mai trattati, e al contempo portano con loro anche una notevole stabilità economica del parco”.
Il Parco Natura Viva non si prende cura soltanto degli animali: pochi sanno che a pochi passi dall’ingresso esiste una fattoria didattica chiamata “La città degli Asini” che si occupa di interventi assistiti e progetti riabilitativi o terapeutici mediati da animali come asini, cani, gatti e conigli.
“Ogni tanto dobbiamo riflettere sul fatto che questi animali ci sopravviveranno – conclude la visita il direttore Avesani, avvicinandosi a una tartaruga secolare – La responsabilità che abbiamo nei loro confronti è quindi transgenerazionale. La nostra missione è che questo parco si conferma un riferimento per capire meglio le specie che stiamo perdendo e vedere quali strategie mettere in atto per salvarle”.
(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
#Qdpnews.it