Lo scrittore trevigiano Giovanni Comisso (1895 – 1969) interrogandosi sull’origine del nome marcàndola, pesce cucinato nelle trattorie sulle sponde del Piave, si convinse che quella sorta di sardina d’acqua dolce si chiamasse così per l’abitudine a risalire il fiume provenendo dal mare nel periodo della riproduzione.
La lasca (Protochondrostoma genei) è una di quelle specie per le quali la sovrapposizione di nomi italiani e dialettali alimenta ambiguità e incertezze. Il Ninni nel suo trattato del 1877 la definisce “piccola lasca” o “lasca ranciata” per differenziarla dalla savetta. Nel Lazio la lasca può coincidere con il triotto o la scardola; in Toscana viene anche chiamata cavedano o cefalo d’acqua dolce e sul Trasimeno si confonde con la rovella. In Veneto è conosciuta come marcàndola, strillo o fregata.
L’aspetto della lasca è quello classico del pesce: forma slanciata, colore verdastro sul dorso, argentato sui fianchi e bianco sull’addome. Le pinne inferiori possono avere sfumature rosso aranciate o giallastre. Una linea quasi impercettibile di macchioline scure solca entrambi i lati del corpo. Le dimensioni medie sono di 15 – 20 centimetri per un etto di peso.
La lasca ama acque pulite, correnti e ben ossigenate, fondali di ciottoli o rena dove vive in branchi numerosi in compagnia di altri Ciprinidi come barbi e cavedani. Specie onnivora si ciba di organismi vegetali e animali; a causa della particolare posizione della bocca, per nutrirsi è costretta a girarsi di lato tradendo, con i bagliori metallici, la propria presenza. Una circostanza della quale approfittano i predatori alati quali aironi, garzette e cormorani.
La tradizionale cattura della lasca avveniva al momento della risalita posizionando reti, bertovelli, nasse fatte di canna palustre, oppure manovrando retini come lo schìral da batua e bilance (balanse) di varie dimensioni.
In cucina il destino delle marcàndole era una fragrante frittura accompagnate da insalata novella, polentina bianca e annaffiata da bianchi aciduli e freschi come la Rabosina bianca o Graspariol. In alternativa gli esemplari più grandi, una volta fritti, venivano spruzzati col vino e lasciati riposare una manciata di minuti coperti di pomodoro, prezzemolo e aglio. Infine si poteva optare per la grigliata di lasche servite su fette di polenta brustolada.
Apprezzata dai buongustai, ma tenuta in considerazione dai letterati la marcàndola è protagonista di due amene curiosità.
Antonfrancesco Grazzini (1503 – 1584), poeta, farmacista e ricordato come uno dei fondatori dell’Accademia della Crusca fu soprannominato “il Lasca” forse per via del carattere spigoloso che lo faceva assomigliare a un pesce pieno di lische e dunque difficile da digerire.
Dante Alighieri, nel XXXII Canto del Purgatorio, allude alla costellazione dei Pesci evocando la “celeste lasca”, una specie già all’epoca molto diffusa e verosimilmente ben conosciuta dal Sommo Poeta.
(Foto: Wikipedia).
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