I pesci d’acqua dolce nella tradizione della Marca trevigiana: il panzarolo

Il panzarolo
Il panzarolo

Il povero Pinocchio, per sfuggire al mastino Alidoro, si getta in acqua e finisce imprigionato in una rete “in mezzo a un brulichio di pesci”. Il terrificante Pescatore Verde, soddisfatto della copiosa cattura di naselli, muggini, triglie, sogliole e acciughe si ritrova tra le mani il burattino: incuriosito da quell’essere sconosciuto cede ben presto alla gola e, senza farsi troppe domande, lo infarina classificandolo sbrigativamente come un granchio di mare.

Il panzarolo, detto anche ghiozzo puntato, ghiozzetto striato o dei fontanili (Knipowitschia punctatissima) è un essere talmente piccolo e poco appariscente che, come stava per accadere a Pinocchio, sarà spesso finito in padella confuso con altri pesciolini e senza troppi riguardi per la corretta classificazione zoologica.

Lungo quattro cinque centimetri, testa voluminosa, occhi sporgenti, livrea grigio giallastra e fianchi solcati da striature brune, il panzarolo rischia di essere scambiato dai meno attenti per una delle tante specie con una silhouette simile: ghiozzi, scazzoni, cobiti e gobioni anch’essi vittime di una incerta definizione dialettale: l’esempio classico è quello del termine marsón, lo scazzone, non di rado esteso ad altri pesci più o meno somiglianti.

Il panzarolo, un tempo diffuso in Veneto e in Friuli Venezia Giulia, oggi sopravvive quasi esclusivamente in Emilia Romagna e in alcuni siti compresi fra i bacini del fiume Stella e del Brenta; alcuni studi lo segnalano anche nel Livenza. Le ragioni della sua progressiva rarefazione sono da attribuire al generale abbassamento della falda acquifera conseguente all’indiscriminata captazione idrica, al degrado ambientale, all’espansione urbana e alla competizione con specie aggressive, quali la trota, immesse in quantità rilevanti per fini sportivi.

Amante delle acque fresche, limpide e ben ossigenate il ghiozzetto striato prospera nei fondali melmosi e ricchi di flora acquatica ove si nutre di organismi planctonici, piccoli crostacei e larve di insetti. Nella sua breve vita, circa due anni trascorsi al riparo della vegetazione, è predato da pesci, uccelli e rettili.

Il panzarolo, insieme allo scazzone, allo spinarello, al cobite, alla lampreda padana e al luccio fa parte della comunità ittica delle risorgive venete, ambienti molto peculiari nei quali le acque che scorrono in profondità, dopo aver impattato con strati di sedimento impermeabile, risalgono in superficie dando luogo a polle e ruscelli la cui temperatura di circa 10° – 13° si mantiene costante in tutte le stagioni.

Il panzarolo, che per le dimensioni non riveste alcun interesse da un punto di vista professionale, sportivo o culinario, era una preda occasionale per i ragazzi che pescavano con il setaccio, il crivello o la moscariola, l’ampolla di vetro nata per catturare le mosche e impiegata come trappola di fortuna per piccoli pesci di fiume. Il ghiozzetto dei fontanili poteva anche perire a seguito della sconsiderata azione dei bracconieri che, utilizzando erbe tossiche, carburo, corrente elettrica o esplosivi, sterminavano tutta la fauna di un ruscello o di uno stagno pur impadronirsi dei pochi esemplari di taglia.

Dopo aver approfondito la conoscenza di questa graziosa e schiva specie d’acqua dolce, la speranza è che il nostro simpatico panzarolo ritorni a popolare fiducioso le acque della Marca Trevigiana delle quali, giustamente, rivendica la secolare cittadinanza.

(Foto: Wikipedia).
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