Secondo gli shintoisti giapponesi il responsabile di terremoti e tsunami è Namazu, una creatura gigante, dalle fattezze di pesce gatto, nascosta nei fanghi sotterranei e tenuta a bada dagli dei con l’aiuto di una grossa pietra o di una zucca.
Lungi dall’essere così temibile e distruttivo come il mostro della mitologia nipponica, il pesce gatto nero o comune (Ameiurus melas) ha comunque ispirato leggende e racconti anche nella cultura occidentale. Giunto in Italia tra fine Ottocento e primi del Novecento il pésse gato, pessegàt o più semplicemente gato (questi i nomi dialettali veneti) proviene dal Nord America; prolifico, tenace e resiliente, in Europa lo si ritrova un po’ ovunque, dal Portogallo alla Russia grazie alle sue straordinarie doti di adattabilità.
Ricoperto da una pelle viscida e priva di squame, la testa massiccia e appiattita, gli occhi piccoli e un po’ inquietanti, la livrea bruno verdastra sul dorso, bianco giallastra su fianchi e addome, il pesce gatto è facilmente riconoscibile per le quattro paia di barbigli posti ai lati della bocca. Appendici simili alle vibrisse del gatto e alle quali deve il proprio nome. Sulle pinne pettorali e su quella dorsali è provvisto di aculei velenosi, in grado di provocare ferite non gravi, ma sicuramente dolorose.
Lungo al massimo 30 – 40 centimetri predilige acque ferme, torbide e stagnanti tipiche dei bacini lacustri, delle aree paludose. Abita fossi, stagni e canali secondari nei quali abbondano le alghe e le piante sommerse. Attivo nelle ore crepuscolari e di notte, decisamente resistente all’inquinamento, si nutre di piante acquatiche, piccoli crostacei, vermi, insetti e anfibi che individua al buio setacciando il fondo fangoso con i baffi che fungono da efficaci organi sensoriali. Durante il corteggiamento maschi e femmine si colpiscono con vigorose testate, abitudine per la quale la specie è nota in America come “bull head fish” cioè “pesce testa di toro”.
Le principali minacce per questa specie sono le malattie virali o batteriche, i parassiti e alcuni predatori quali uccelli acquatici, bisce, lucci o persici trota.
Un tempo sconosciuto nelle acque della Marca, il pesce gatto oggi popola corsi d’acqua come il Sile e i laghi di San Giorgio e Santa Maria nella Vallata.
Specie di un certo interesse per i pescatori sportivi, viene talvolta allevato in stagni o specchi d’acqua ai margini di tenute agricole. Insidiato con grossi vermi o gamberetti, è un avversario tenace e combattivo in grado di regalare forti emozioni a patto di maneggiarlo con cura per evitare le dolorose punture.
Le sue carni, poco liscose e simili a quelle dell’anguilla, si prestano a cotture in umido, fritture e grigliate. Ottimi i filetti marinati con aceto, pepe e alloro. Apprezzato soprattutto in Emilia Romagna e in Lombardia, il pesce gatto è l’ingrediente principale di un risotto tipico del Delta del Po che gli estimatori vanno a ricercare nei borghi di pescatori della provincia di Rovigo.
In ultimo una curiosità: il sostantivo inglese catfish non indica solo il pesce gatto, ma anche il truffatore che, sotto falsa identità, inganna gli utenti più ingenui e sprovveduti sui social. Il raggiro pare derivi da uno stratagemma utilizzato dai pescatori del Pacifico e dell’Atlantico consistente nel gettare nelle vasche dei merluzzi alcuni pesci gatto: mordicchiati e infastiditi da questi esseri baffuti e irrequieti, i merluzzi avrebbero mantenuto più a lungo la loro vitalità giungendo sul mercato freschissimi e pronti per deliziare i palati più esigenti.
(Foto: Qdpnews.it).
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