Ai tempi in cui la vita era scandita dall’avvicendarsi delle stagioni e ogni cibo aveva una precisa collocazione nel calendario, la primavera e l’autunno coincidevano con l’epoca di raccolta delle lumache o, più correttamente, delle chiocciole. Generazioni di persone, anche nel recente passato, sono letteralmente sopravvissute alla fame grazie all’apporto proteico garantito da umili pesciolini, rane, gamberi di fiume e lumache.
S’ciosi, bògoi, bogoéti, bovoéti, còrgnoi o bovòni condividono con i pesci d’acqua dolce l’umidità dell’habitat e i principi base della manipolazione alimentare: abbondante uso di erbe aromatiche, ripetuti lavaggi e accurata spurgatura. Pratiche necessarie a rendere appetibili le lumache privandole dei sapori sgradevoli e della fastidiosa vischiosità un po’ come accade per carpe, anguille e tinche.
Perlustrando le rive dei fossi, esplorando i margini dei prati dopo un acquazzone o passando al setaccio i rami degli arbusti selvatici si riempivano i panieri di Helix pomatia (vignaiola bianca), Cornu aspersum (vignaiola), Helix lucorum (vignaiola scura) ed Eobania vermiculata, la lumachina del sole. Specie un tempo talmente diffuse da costituire una minaccia per orti e giardini, le chiocciole sono oggi drasticamente diminuite a causa dell’utilizzo di pesticidi e dei continui mutamenti ambientali.
I molluschi dei quali ci occupiamo sono organismi generalmente ermafroditi, cioè provvisti di entrambi gli apparati genitali, maschile e femminile. L’atto riproduttivo è interessante e misterioso: inizia con un tenero abbraccio fra i partner che si stringono, si mordicchiano e culmina con il lancio di un dardo calcareo che trafigge le carni e precede la fecondazione vera e propria. Animaletti vegetariani, si ritraggono nel guscio per sfuggire ai predatori, ripararsi dal caldo eccessivo o dal freddo prolungato. In inverno sigillano la porta d’ingresso con un opercolo fatto di bava essiccata. Il capo è provvisto di appendici retrattili, le corna, che a parte sollecitare l’immaginario popolare svolgono importanti funzioni sensoriali.
Le chiocciole o lumache che dir si voglia sono state cibo occasionale per gli uomini primitivi che le mangiavano crude accumulando i gusci vuoti nelle caverne. Gli Antichi Romani le allevavano in appositi recinti detti cocleari, gli Israeliti ne hanno bandito il consumo assimilandole ai serpenti in quanto esseri striscianti. Cibo medicamentoso per diverse culture e permesso nei giorni di magro dai Cristiani, la lumaca suscita talvolta diffidenza perché, se non adeguatamente spurgata, può contenere tracce di piante velenose. L’aspetto singolare, il lento procedere e la curiosa capacità di scomparire rapidamente nel guscio hanno alimentato leggende, miti e persino riti magici.
Quasi dimenticata in epoca medievale e moderna, dalla metà del Novecento la lumaca rivive una stagione di successi e popolarità divenendo protagonista di sontuosi piatti gourmet quali le celebri “escargot alla bourguignonne” autentico vanto della cucina d’oltralpe.
Nella tradizione alimentare della Marca Trevigiana le lumache ricoprono da sempre un ruolo rilevante. Cibo di strada nelle sagre (i bògoi nei quali l’aglio superava di gran lunga la quantità di carne) o tradizionale appuntamento per la vigilia di Natale la lumaca vanta una ricetta tipica praticamente in ogni comune: in umido per Sant’Augusta a Vittorio Veneto, al pomodoro a Colle Umberto, in brodo di polenta a Revine, con gli gnocchi a Cavaso del Tomba. Nei ricettari della Marca si trovano innumerevoli suggestioni fra le quali i s’ciosi de la Valada o la salada de s’ciosi, un piatto quest’ultimo con influenze asburgiche.
Con i gusci si ricavavano lumini a olio per le processioni notturne e richiami con i quali i cacciatori simulavano il canto della civetta.
Le lumache sono oggi severamente tutelate dalla legge che impone regole nella quantità e nei periodi di cattura. Per fortuna la diffusione degli allevamenti, i cosiddetti impianti di elicicoltura, garantiscono il costante approvvigionamento di lumache e addirittura di cosmetici a base di bava. In casi estremi, di fronte all’impossibilità di procurarsi la materia prima, potremo ricorrere ai durelli di pollo, valido surrogato e ingrediente base per gli s’ciosi scanpai (lumache scappate).
E se il piatto non dovesse incontrare il gradimento dei vostri commensali potrete sempre invitarli, con garbata fermezza, ad andarsene a catàr s’ciosi!
(Foto: Wikipedia).
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