Per la legge, i bulli non sono quelli che rubano la merenda: le forme di stalking minorile punibili da 1 a 6 anni

Oggi, domenica 7 febbraio, è la giornata internazionale contro il bullismo, un fenomeno diffuso che le cui conseguenze sono state riconosciute come potenzialmente gravi solo recentemente: il termine ha lasciato spazio a diverse interpretazioni, che creano un po’ di confusione quando ci si confronta a livello giudiziario.

È bene sapere che dal punto di vista della legge, gli scherzi una tantum, le canzonature, i dispetti maligni di cui tutti noi siamo stati testimoni, che abbiamo subito o inferto almeno una volta nella vita, non c’entrano con la definizione giuridica di bullismo, che viene accostato a un termine che suona come qualcosa di molto più grave: il reato di stalking.

Se il tipico ragazzino arrogante che prende in giro il compagno più smilzo è considerato da molti come un bullo, ciò su cui si sofferma il codice penale nel punire reati di questo tipo riguarda casi che si sviluppano su tutto un altro livello: non si tratta quindi di un climax del comportamento di un ragazzino o di una ragazzina che degenera fino allo scherzo grave, ma di una ripetuta e martellante serie di molestie, minacce o umiliazioni che portano la vittima a uno stato di costante paura.

In casi come questo, chi viene colpito da queste persecuzioni viene costretto ad alterare le proprie abitudini di vita ed è proprio questo che un tribunale può considerare nell’emettere un verdetto.

A raccontare questa differenza è l’avvocato Roberta Resenterra, che ha lavorato quotidianamente a difesa di imputati, talvolta giovanissimi, che sono stati vittime di queste persecuzioni: “Gli psicologi affermano che il bullo può diventare tale alle medie oppure alle superiori. La legge prende in considerazione soltanto i casi in cui l’imputato ha almeno 14 anni. A quel punto, il persecutore delinque con coscienza e volontà e può essere condannato e punito con una pena da uno a sei anni di reclusione, che viene quasi sempre convertita in periodi di servizio sociale o volontariato: si ritiene, generalmente, che i metodi che vedono i colpevoli impegnati nell’emendare la pena siano molto più efficaci della reclusione”.

L’avvocato racconta che nella maggior parte dei casi questi fatti non superano i muri dell’istituto scolastico, dove continuano ad avvenire, spesso a totale insaputa dei genitori e dei docenti: quando arrivano in udienza preliminare al Tribunale dei minori, molti ragazzini vengono assolti in quanto la loro colpevolezza è difficile da dimostrare.

“È importante far passare il messaggio che un genitore deve saper riconoscere la differenza tra uno scherzo e un comportamento di persecuzione ripetuto. Capita che i genitori siano assenti o che non accettino la colpevolezza dei propri figli, così sminuiscono la cosa” prosegue.

In molti casi i persecutori hanno subito a loro volta molestie di cui i famigliari non si sono resi conto e, proprio per questa difficoltà nel distinguere la persecuzione dal bullismo così come lo intendiamo fuori dalle aule dei tribunali, è bene per un genitore o un tutore “stigmatizzare”, questo il termine utilizzato dall’esperta, ogni comportamento che tende a umiliare il prossimo, sia che si tratti di un innocente scherzo sia che si tratti del primo pericoloso passo verso la delinquenza.

(Fonte: Luca Vecellio © Qdpnews.it).
(Foto: Web).
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