Credo che nessun animale come il lupo mantenga un profondo significato culturale e psicologico nell’immaginario collettivo. È dalla preistoria che I lupi sono testimoni silenziosi di un dialogo ambientale in continua evoluzione, un racconto di adattamento e sopravvivenza. Racconto che continua.
Ancora oggi il rapporto che abbiamo con il lupo rappresenta uno dei più complessi e stratificati esempi di interazione tra essere umano e mondo naturale, caratterizzato da una profonda evoluzione storica, culturale e simbolica che si manifesta attraverso molteplici dimensioni interconnesse.
Pensavamo che fosse finita la caccia alle streghe e ai lupi, entrambi come emblema del male, raggiungendo l’apice della demonizzazione nel Medioevo. Pensavamo, appunto, ma avevamo torto.
Non ci siamo scostati di un millimetro. Siamo sempre lì. La cultura del nostro Paese contempla il domestico, non il selvatico. E se non ci aiuta la cultura delle nostre tradizioni, siamo persi. Facciamo fatica a capire. Non ci fidiamo di nessuno, neanche di chi fa il nostro stesso mestiere.
Ci sono mestieri di gente pratica, gente che lavora con i domestici e che sono preoccupati dalla presenza dei selvatici: gli allevatori. Il nostro Paese ne sa qualcosa. Se chiedete ad un allevatore abruzzese se ha timore del Lupo sorride e non vi risponde. E’ da secoli che i lupi hanno imparato che non è conveniente avvicinarsi ai pastori. I lupi imparano.
Diversa è la situazione nelle Alpi, dove il lupo è stato assente per generazioni di pastori. Così i pastori delle Alpi hanno imparato dai pastori degli Appennini le strategie per evitare i danni che il lupo può fare a manzette, vitelli e pecore. Gli allevatori, dicevo, sono gente pratica. Imparano prima dei lupi. Che presto imparano che non conviene avvicinarsi agli animali che sono protetti. Non conviene proprio.
Allevatori delle Alpi hanno verificato quanto le misure di prevenzione siano la soluzione per evitare che i lupi predino i domestici. Le misure di prevenzione esistono e funzionano in tutto l’arco alpino. Perché non adottarle? Perché non aiutare gli allevatori con gli strumenti che gli stessi allevatori e pastori hanno testato nel corso dei secoli?
Perché non diffondere i risultati a zero predazioni che si sono raggiunti in aree in cui gli strumenti di prevenzione sono stati adottati con capacità e impegno? Perché non premiare quegli allevatori che si sono allertati per difendere i loro domestici?
Perché dare la falsa speranza di inutili alternative che, lo sappiamo già, non funzionano in un Paese come il nostro? Chiunque faccia il mio mestiere sa che non serve dotare di radiocollare un lupo per prevenire le predazioni.
È onorevole quando gli Enti locali finanziano studi e ricerche, ma ora, ripeto ora, gli allevatori hanno bisogno di un aiuto immediato e tangibile.
Perché non offrirglielo?
(Autrice: Paola Peresin)
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