Pubblichiamo per gentile concessione l’articolo di Barbara Gobbi uscito sull’edizione del quotidiano Il Sole 24 Ore del 15 marzo 2023 dal titolo “Allarme anoressia e bulimia, 3,6 milioni di casi. Il 20% dei pazienti sotto i 14 anni”.
I dati: 1,4 milioni di nuovi casi solo nel 2022. Ci si ammala a partire dagli 8 anni e cresce la diffusione tra i maschi dove la fascia d’età 12-17 anni comprende ben il 20% dei casi.
Anoressia, bulimia e disturbo da alimentazione incontrollata (“binge eating”): sono queste le prime tre “bestie nere” quando si guarda alle malattie del comportamento alimentare (Dca o Dan) che colpiscono oltre 3,6 milioni di giovani e giovanissimi in Italia – ma anche gli adulti non sono risparmiati – di cui 1,4 milioni di nuovi casi solo nel 2022. In realtà il caleidoscopio di questi malesseri psichiatrici legati alla percezione distorta del proprio corpo e a un approccio alterato al cibo è molto più ampio ed è legato a doppio filo al tempo in cui viviamo.
Sono malattie “culturalmente correlate”: per questo la Giornata nazionale del fiocchetto lilla il 15 marzo di ogni anno racconta un quadro sempre diverso e in continuo movimento, dai contorni variegati ma anche più ampi. Dove l’anoressia “pura”, anche se resta un disagio importantissimo, è sempre più spesso affiancata dal malessere bulimico e intrecciata a disturbi complessi, incluso l’autolesionismo incalzante. E dove l’età media d’insorgenza dei sintomi continua ad abbassarsi – con un 20% di pazienti ormai “under 14”, ma ci si ammala anche dagli 8 anni – mentre cresce la diffusione tra i maschi dove la fascia d’età 12-17 anni comprende ben il 20% dei casi.
“È un mondo complesso quello dei disturbi del comportamento alimentare – dichiara Elisa Fazzi, presidente della Società di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (Sinpia) e direttore della Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza Asst Spedali Civili e Università di Brescia – e il progressivo abbassamento dell’età anche in bambine e bambini in età prepuberale ha conseguenze più gravi sul corpo e sulla mente, sullo sviluppo in genere. L’identificazione e l’intervento tempestivo e multidisciplinare sono decisivi per una prognosi migliore”.
Una rete di cura ancora incompleta
Numeri e percentuali si riconcorrono, così come le cifre sui centri che da Nord a Sud sono in grado di realizzare una presa in carico appropriata: da tre anni è l’Istituto superiore di sanità con il suo Centro nazionale dipendenze e doping a curare l’aggiornamento della mappa on line che è stata pensata per fornire alle famiglie Regione per Regione una bussola e una ciambella di salvataggio: l’ultimo censimento (al 28 febbraio) racconta di 126 strutture (la registrazione è facoltativa) di cui 14 appartenenti al privato accreditato. Centri dove lavorano circa 1.500 professionisti tra psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili, infermieri, dietisti, educatori professionali, medici specialisti in nutrizione clinica, internisti, pediatri e altre figure dagli assistenti sociali ai riabilitatori. Che provvedono all’ambulatorio specialistico, a terapie intensive o semiresidenziali e residenziali fino ai ricoveri.
Un esercito variegato e competente ma ancora distribuito in modo disomogeneo nella Penisola dove la metà delle Regioni non ha ancora una rete assistenziale completa, a tutto svantaggio di pazienti e famiglie: il maggior numero dei centri (63 quelli che si sono notificati all’Iss) è al Nord (63) con Emilia Romagna (20) e Lombardia (15) in testa; al Centro sono 23 (8 nel Lazio e 6 in Umbria) e 40 sono tra Sud e Isole, di cui 12 in Campania e 7 in Sicilia.
L’importanza di interventi precoci
Non sono meri dati: nel caso dei Dca la presenza di un ambulatorio vicino può essere decisiva per la storia della malattia e anche, nei casi più gravi, per le prospettive di vita dei pazienti. I disturbi del comportamento alimentare sono la seconda causa di morte per le ragazze nella fascia d’età tra i 12 e i 17 anni e il tristissimo bilancio del 2022 è di 3.158 decessi con diagnosi correlate ai disturbi dell’alimentazione e della nutrizione. “Una valutazione precoce dopo primi segnali di malessere intercettati dal pediatra e dal medico di famiglia, dagli insegnanti a scuola o in ambito sportivo, possono fare la differenza, soprattutto entro il primo anno dalla comparsa dei sintomi – spiega Laura Dalla Ragione, direttore Unità operativa complessa Disturbi del comportamento alimentare Usl 1 dell’Umbria e docente al Campus Biomedico di Roma -. Eppure mi capita ancora di incontrare ragazze di 16 anni che affermano di essere malate da quando ne avevano 11”.
Il boom post Covid
Gli anni della pandemia hanno slatentizzato o acuito una sofferenza diffusa, con un +30% di Dca certificato già l’anno scorso. Una ulteriore conferma arriva dagli ultimi dati dell’Ospedale pediatrico Irccs Bambino Gesù di Roma, bacino di utenza anche per molti pazienti da fuori Regione. Nel 2021-2022 gli accessi al Pronto soccorso sono raddoppiati rispetto al biennio precedente passando da 463 a 911 mentre i ricoveri sono cresciuti del 56% da 1.062 a 1.320. «Il lockdown prima e le restrizioni della socialità dopo hanno fatto da detonatore per un malessere che era spesso già presente, a volte in maniera meno manifesta e a volte più evidente – ha spiegato Valeria Zanna, responsabile di anoressia e disturbi alimentari del Bambino Gesù -. Il Covid e la quarantena sono stati sicuramente fattori di accelerazione, ma molte di queste ragazze e di questi ragazzi erano già allenati a mangiare di nascosto, a vomitare di nascosto, a vivere di nascosto».
Gli aiuti in campo
La prima mano tesa a malati e famiglie è quella del Servizio sanitario nazionale (ancora incompleto) e delle istituzioni: al numero verde presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (800180969) rispondono tutti i giorni esperti preparati su counselling e servizi disponibili ma l’ultimo progetto di comunicazione istituzionale – al di là della preziosa piattaforma Iss sui centri per Regione – risale al 2008: un’iniziativa congiunta tra ministeri della Salute (titolare Ferruccio Fazio) e della Gioventù (titolare una giovanissima Giorgia Meloni) che oltre a cinque ambulatori-sentinella pubblici individuava come ambiti di prevenzione le aree della scuola, dello sport e dell’industria alimentare.
Per il resto, pullulano le iniziative bilaterali. Come quella tra il servizio di psicologia online e società benefit Unobravo e Animenta, associazione no profit nata per informare, raccontare e sensibilizzare sulle malattie del comportamento alimentare. O ancora come la partnership tra Federazione Ginnastica d’Italia (Fgi) e Istituto Auxologico Italiano appena presentata a Milano, “per un’attività sportiva in salute”: l’obiettivo è dare una risposta al fenomeno rimasto finora in ombra dei Dca tra i giovani che praticano attività agonistica.
Un’iniziativa benedetta da Flavio Siniscalchi, Capo del Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio: “Il messaggio più importante – ha affermato – deve arrivare da chi ha quotidianamente a che fare con bambini e bambine, quindi da allenatori, dirigenti sportivi e tecnici, affinché trasmettano i valori della sana alimentazione e del sano stile di vita. Investire sulla formazione dei professionisti è il punto di partenza: il 60% delle persone che soffre di dipendenze legate al comportamento alimentare ha tra i 13 e i 25 anni. Il contesto non è facile, perché lo sport porta ad ansia da prestazione e questo determina una difficoltà ulteriore, per cui la formazione è fondamentale”.
La doppia faccia dei social
Ormai saldamente inseriti nella trama del vissuto quotidiano di ciascuno e diventati con la pandemia spesso gli unici compagni di giochi, distrazione e identificazione dei più giovani, i social intercettano e catalizzano proprio i due principali attori del dramma Dca: percezione del corpo e rapporto con il cibo. Ma se è vero che le “piattaforme” e il virtuale possono diventare uno dei principali fattori di rischio, confrontarsi è necessario e può anche rivelarsi di supporto. Dalla Sinpia segnalano uno studio tutto italiano pubblicato sulla rivista International Journal of Environmental Research and Public Health e relativo a nuovi approcci terapeutici basati sulla realtà virtuale con importanti risultati nei soggetti con anoressia nervosa.
Questa tecnologia – spiegano dalla Società di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza – consente ai pazienti di essere immersi in un ambiente virtuale, si adatta al loro stato psicologico e può essere particolarmente indicata negli adolescenti se presentata come un gioco.“I social media non sono né demoni né angeli: possono avere una funzione positiva con post, professionisti, testimonianze positive e campagne di comunicazione utili per la prevenzione o diventare un rischio per la potenza dei modelli negativi, ad esempio di influencer che scatenano l’imitazione degli adolescenti – spiega Laura Dalla Ragione, autrice con la psicoterapeuta Raffaela Vanzetta del libro “Social Fame. Adolescenza, social media e disturbi alimentari” -. Oggi quando incontriamo una paziente, anche di 11-12 anni, chiediamo quali sono le piattaforme e le App che usa per cercare di capire che tipo di pressione abbia ricevuto. Poi ci lavoriamo su, anche con “gruppi” dedicati ai social… che non possono certi essere proibiti ma anzi vanno meglio conosciuti, dalla scuola e dalle famiglie. Il mondo degli adulti deve formarsi perché in generale tende a sottovalutare l’impatto che questo linguaggio può avere sui giovanissimi”.
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