Come abbiamo già visto, la sostenibilità avviene quando l’economia e le società operano entro i limiti imposti dall’ambiente, per garantire che le risorse naturali siano disponibili anche per le future generazioni.
Sarà a tutti ormai chiaro che l’insieme delle risorse naturali viventi rinnovabili si chiamano biodiversità.
È questo il motivo per cui molte aziende si preoccupano di correlare i loro prodotti alla biodiversità. Quando la produzione aziendale agisce arrestando la perdita di biodiversità, la produzione si avvia verso la sostenibilità. Se la produzione aziendale concorre alla perdita di biodiversità, non ci si avvicina in alcun modo all’orizzonte sostenibile.
Quello della biodiversità è il precetto ambientale che ogni prodotto aziendale deve abbracciare. Non è l’unico, ovviamente. Gli altri obiettivi dello sviluppo sostenibile riguardano le società umane. Ambiente e società rappresentano i 17 obiettivi adottati dall’ONU e conosciuti come Agenda 2030.
Uno dei pilastri dello sviluppo sostenibile è l’economia circolare, un modello di produzione e consumo che mira a estendere il ciclo di vita dei prodotti e ridurre al minimo la produzione di rifiuti.
I dati a disposizione ci informano sull’impatto della produzione e dei rifiuti tessili sull’ambiente. La fast fashion ha rivoluzionato il mondo dell’abbigliamento, offrendo un flusso continuo di nuovi stili a prezzi accessibili, questo modello di business ha un prezzo elevato; un aumento vertiginoso della quantità di indumenti prodotti, utilizzati e poi scartati in tempi brevissimi.
Nel 2020 il consumo medio di prodotti tessili per persona ha richiesto 400mq di terreno, 9 m3 di acqua e 391 kg di materie prime. Voli internazionali e trasporto marittimo dell’industria tessile hanno generato 270 kg di emissioni di CO2 per persona. Il riciclo degli abiti usati ha riguardato solo l’1% dell’intera produzione. Ogni cittadino europeo consuma 26 kg di prodotti tessili e ne smaltisce circa 11 kg.
I dati ci informano che dal 2000 al 2020 la produzione globale di fibre tessili è quasi raddoppiata, da 58 a 109 milioni di tonnellate e le proiezioni aggirano la crescita a 145 milioni di tonnellate nel 2030.
Che fare quindi? Avviare un’economia circolare per la produzione tessile, rendendo i tessuti più durevoli, riparabili, riutilizzabili, riciclabili. Sono richieste progettazioni ecocompatibili per i tessuti, informazioni più chiare e un passaporto digitale dei prodotti.
Questo è quanto previsto dal regolamento Ecodesign (Espr) firmato da 26 Paesi europei con una sola astensione, quella italiana.
Superfluo affermare che il Made in Italy è un fiore all’occhiello del nostro Paese molto lontano dalla fast fashion e allora perché non misurarlo attraverso indici ed indicatori biologici, nonché da parametri abiotici, così come previsto dallo sviluppo sostenibile?
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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