L’arte della demolizione sostenibile secondo Moretto: “Giovani, non è un mestiere sporco”

Quando si parla di demolizione, molto spesso la si associa al mero abbattimento di una casa, di un ponte, di un acquedotto o di un qualsiasi edificio o infrastruttura. A differenza di come viene interpretato, come un atto “barbaro”, devastante e definitivo, questo termine descrive piuttosto un’operazione delicata e artigianale: come metafora, si potrebbe invece prendere il gioco dello shangai, quello di togliere con delicatezza un bastoncino senza toccare gli altri.

Un intervento che cambia di volta in volta, radicalmente, in base all’edificio che bisogna abbattere, alle problematiche ambientali del contesto e della struttura con cui è stato costruito. E poi c’è il fattore rischio, che è sempre alto, e che occorre sempre monitorare scientificamente, senza mai dare nulla per scontato.

Silvia Moretto, che assieme al fratello Michele e al papà Giuseppe, gestisce un’azienda che da oltre sessant’anni si occupa di scavi, bonifiche e demolizioni, ci racconta un mestiere che è poco conosciuto nella sua complessità, pur indispensabile e richiestissimo anche in Veneto.

Negli anni, la Moretto ha investito continuamente nell’acquisto di tecnologie innovative, anche cercando nuove soluzioni per selezionare, riciclare e smaltire le macerie dei vecchi edifici. Questi, oggi, possono essere infatti riutilizzati per realizzare strade e piazzali, in un’ottica di sostenibilità circolare che ha sempre più bisogno di soluzioni concrete. “Così abbiamo evitato che tre milioni di metri cubi di rifiuti da demolizione finissero in discarica” spiega l’imprenditrice.

Tra gli elementi e gli strumenti più interessanti di questo lavoro, uno spicca sopra agli altri: l’esplosivo. Per alcuni tipi di demolizioni, infatti, gli escavatori e le gru con palle da demolizione non sono sufficienti. “Mio fratello Michele ha il patentino di quello che viene chiamato “fuochino”. In più, collaboriamo con Danilo Coppe, che è diventato celebre per l’abbattimento del ponte Morandi. Per esempio, tra qualche mese avremo l’abbattimento di un acquedotto di oltre quaranta metri”.

Come si è evoluta la vostra azienda?

La nostra azienda nasce grazie a nostro nonno Arcangelo nel 1957. Faceva l’autista delle corriere e prima ancora si occupava del trasporto della bauxite in Croazia. A un certo punto della sua vita ha deciso di comprare un semplice camion e da lì è nato tutto. La storia dell’azienda è poi evoluta con mio papà e poi siamo subentrati io e mio fratello. Quindi oggi siamo alla terza generazione. Nel tempo ci siamo evoluti e abbiamo puntato molto sul settore ambiente ed ecologia.

Contrariamente a quanto si possa pensare quanto è importante la sostenibilità nel vostro settore?

È fondamentale. Già dalla fase della richiesta da parte del cliente e in fase di sopralluogo vengono valutate tutte le criticità ambientali che in un edificio obsoleto si possono trovare. Stiamo parlando di vari tipi di amianto o di perdite nel suolo. Mediamente otto serbatoi su dieci sono forati e quindi abbiamo la necessità di bonificare anche il terreno. Dopo la demolizione si passa al riciclo, dove materiali come ferro e legno vengono recuperati e il materiale da demolizione viene riutilizzato come sottofondo stradale o materiale da riempimento come se fossero materiali nobili quale la ghiaia.

Dal 1994, anno in cui abbiamo iniziato il riciclo del materiale da demolizione, abbiamo evitato che tre milioni di metri cubi finissero nelle discariche: di questo siamo veramente orgogliosi. 

C’è qualche operazione che, magari per la sua complessità o per la buona riuscita, ti sia stata più a cuore?

Diciamo che sono tutte importanti, più o meno grandi che siano. Di recente mi viene in mente l’ospedale di Portogruaro: aveva davvero molte complessità. Per esempio, lì vicina c’era una chiesa del 1200 che abbiamo dovuto mettere in sicurezza e monitorare con due sismografi. Abbiamo dovuto eseguire ogni singolo tipo di bonifica: erano presenti amianto e serbatoi interrati. Se invece parliamo del passato, sicuramente la pista degli aerei della base di Aviano è stata un intervento mastodontico, portato a termine in tempi record.

Parliamo di giovani: anche voi avete difficoltà nel trovare personale?

Sì, moltissima. Forse perché si pensa che il nostro sia un mestiere sporco. Questa è l’occasione per dire che non lo è. Tutte le attrezzature e tutti i macchinari sono estremamente evoluti. I giovani pensano a camion obsoleti, invece sono meglio dei loro salotti. Per farci capire, gli escavatori hanno le cabine reclinabili con sedili riscaldati d’inverno. Le istituzioni dovrebbero darci una mano su questo fronte, perché questo non è decisamente un mestiere di cui si potrà far a meno.

Non trovando personale, per noi, si sta alzando anche il costo della manodopera. Nel nostro settore l’età media oggi è di 43 anni e tutti sono già in procinto di andare in pensione. Non nascondo che abbiamo dei pensionati storici che ci aiutano, quando abbiamo bisogno. Uno in particolare ha iniziato con suo nonno quando aveva quattordici anni. Quando abbiamo demolizioni difficili col braccio lungo lo chiamiamo subito. Lo chiamano il “chirurgo” per la sua abilità e precisione.

(Foto: Studio VU – Gabriele De Nardo”).
(Video: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
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