Una video-inchiesta trasmessa ieri sera, martedì 27 aprile, sul format Report di Rai3 ha riacceso il dibattito sulla gestione della pandemia in Veneto durante la seconda ondata: il racconto, nel corso di pungenti interviste ai protagonisti della sanità veneta, al governatore Luca Zaia, al virologo Andrea Crisanti, ad alcuni sindaci, medici, sindacati e professionisti, ha tentato di sottolineare delle presunte incongruenze nei dati comunicati dalla Regione, internamente ed esternamente, nella fase che l’ha vista più in difficoltà.
Le motivazioni delle indagini da parte degli autori e dei giornalisti del format televisivo sarebbero state rivolte in primo luogo a spiegare il perché nell’affrontare una prima ondata il Veneto si sia dimostrato un esempio, mentre nella seconda, con ogni presidio a disposizione, la pandemia nella Regione abbia mostrato parametri sopra la media nazionale.
L’inchiesta, a cura di Danilo Procaccianti, è stata costruita su tre punti principali, accuse non del tutto nuove per la stampa locale, ma questa volta approfondite attraverso alcune testimonianze dirette, qualche supposizione e qualche dichiarazione “rubata”, a telecamere “in standby.
C’è da annotare che il servizio non tratta delle questioni economiche e delle tempistiche delle manovre alternative che il Veneto avrebbe potuto adottare, senza quindi proporre un sistema presumibilmente più bilanciato, ma limitandosi a evidenziare le stimate criticità del piano sanitario attuato.


In una prima parte del servizio, ponendo Andrea Crisanti come fonte principale, è stata considerata l’esistenza di uno studio non ufficializzato secondo il quale il tampone rapido proposto dalla Regione avrebbe avuto un’efficienza pari a 7 risultati veritieri su 10. Questo significa che, prendendo lo stesso esempio di Report, ogni 10, 3 operatori di Rsa falsi negativi avrebbero potuto compromettere la sicurezza degli anziani in una casa di riposo, pur sottoponendosi a tamponi rapidi ogni quattro giorni.
Questo avrebbe così favorito nuovi focolai e un incremento esponenziali di ricoveri. Secondo il direttore sanitario regionale, Luciano Flor questo studio sarebbe sempre stato non-ufficiale, mentre per alcuni si è trattato di un’occultazione mirata. Secondo questa teoria, l’affermazione del presidente Zaia, “Gli uomini sono gli stessi nella prima e nella seconda ondata” non terrebbe conto proprio di Andrea Crisanti, considerato l’ideatore dell’impresa di Vo’ Euganeo, che avrebbe quindi preso le distanze o sarebbe stato allontanato per via di presupposte pressioni su questo tema. Il tampone rapido è stato paragonato dal conduttore Sigfrido Ranucci a una “foglia di fico”.
Il secondo punto dell’inchiesta si focalizza sulla Marca Trevigiana e in particolare sull’ospedale covid San Valentino di Montebelluna: anche questo un tema trattato spesso in passato, macchiato nelle pagine dei giornali, per certi aspetti, anche dai colori della politica.
È Laura Puppato (Pd) in questo caso la voce principale della visione più critica e accusante, seguita in coro da quei medici che, secondo alcune testimonianze, avrebbero chiesto aiuto a gran voce per una situazione, per professionisti e pazienti, davvero al limite.
“Ci sarebbero ritorsioni serie per quei “soldatini” che osano esporsi mediaticamente” dice un ignoto professionista al telefono con Procaccianti. Ciò che a Report sembra più sospetto è che al momento dell’indagine, della resa dei conti, il San Valentino appare ordinato, con un improvviso arrivo di personale e un calo netto dei ricoveri: un tema che si chiuderà con un’indagine della magistratura ma che chi abita a Montebelluna ha già considerato o dovuto avvicinare personalmente.
Il terzo e ultimo capitolo dell’inchiesta tocca un ambito in cui il Veneto si è sempre sentito tra i primi: il tracciamento dei contatti positivi e la relativa raccolta dei dati giornalieri.
“Perché se il Veneto è così bravo a tracciare, durante la seconda ondata è andato così male?” viene chiesto. La dottoressa Francesca Russo, capodipartimento della prevenzione del Veneto, ha risposto che nel momento più critico, quando i casi erano moltissimi, era impossibile tracciarli tutti e che è capitato che il sistema risentisse di alcuni problemi tecnici durante la trasmigrazione dei dati da un software a un altro.
Queste difficoltà tecniche avrebbero, secondo le supposizioni di Report, compromesso anche le percentuali tra asintomatici e positivi con sintomi, stime molto diverse dalla media nazionale: nel corso di una conferenza stampa era stato dichiarato che il 95% dei positivi erano asintomatici. L’anomalia, di conseguenza, avrebbe influito sull’Rt e quindi sul colore da attribuire alla regione che, secondo le accuse mosse al Veneto, sarebbe rimasto giallo per troppo tempo.
Ad aggravare quest’accusa è il racconto di alcuni operatori e caporeparto che nelle schede da seguire durante il tracciamento, avrebbero trovata precompilata la voce “non sintomatico”, favorendo la selezione di quell’etichettatura in caso di mancata risposta.
Biasimi taglienti quelli mossi nei confronti della gestione sanitaria del Veneto, che meriterebbero forse approfondimenti più specifici e calati sul territorio, considerando anche il fattore economico, il quadro generale della Regione, con le varie caratteristiche che influenzano le varie Ulss, testimonianze esposte e non a volto coperto.
“Si tratta comunque di una sfida a braccio di ferro tra chi ha l’esigenza di difendere imprenditoria e le imprese e chi vuole tutelare i più fragili” afferma Ranucci alla fine del servizio, rilanciando il naturale tema della sopravvivenza di classe che da oltre un anno spezza in due la società.
(Foto: Rai).
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