Sessantasei anni fa la Tragedia di Marcinelle in cui persero la vita cinque veneti: oggi il giorno del ricordo. A Codognè una targa in memoria di Mario Piccin

Oggi si celebra la Giornata Nazionale del Sacrificio del lavoro italiano, istituita in occasione dell’anniversario della tragedia di Marcinelle avvenuta nella miniera di carbone Bois du Cazier in Belgio l’8 agosto del 1956.

Dei 275 operai entrati per il turno di lavoro uscirono vivi solo in 13: più di metà dei morti erano italiani (136, per la maggior parte abruzzesi), 95 erano belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 3 algerini, 2 francesi, 3 ungheresi, un inglese, un olandese, un russo e un ucraino.

A perdere la vita furono anche cinque veneti: Dino dalla Vecchia, 30enne di Sedico, Giuseppe Polese 22enne di Cimadolmo, Mario Piccin 37enne di Codognè, Guerrino Casanova 32enne di Montebelluna e Giuseppe Corso 35enne di Montorio Veronese .

La tragedia fu causata da un errore umano. Rimasero senza via di scampo, soffocati dall’ossido di carbonio e braccati dalle fiamme. Le operazioni di salvataggio andarono avanti per due settimane, fino a quando, il 23 agosto, uno dei soccorritori diede l’annuncio, in italiano: “Tutti cadaveri”.

Serviva lavorare, faticare, lasciare patria e affetti in cerca di un futuro migliore, anche andando ogni giorno mille metri sotto terra a scavare, senza le protezioni e i sistemi di sicurezza che oggi sembrano così normali. Nei pozzi di Marcinelle c’erano i ventilatori che convogliavano e ripulivano l’aria per renderla più respirabile; ma furono proprio questi i motori della tragedia che si consumò alle 8.10 del mattino.

A quota -975 metri un vagoncino si sganciò dall’ascensore e tranciò la conduttura dell’olio; i cavi elettrici innescarono una fiammata enorme che fu alimentata dai ventilatori.

Dal 1946 al 1961 circa settantamila italiani partirono grazie al protocollo Italo Belga, firmato il 23 giugno 1946 dal primo ministro italiano Alcide De Gasperi, con il corrispettivo belga, e che prevedeva l’invio di giovani sani e robusti (duemila alla settimana) destinati a lavorare nelle miniere per minimo un anno in cambio di carbone, comunque non gratuito.

Il viaggio per il Belgio avveniva molto spesso su lunghe tradotte e su carri bestiame, dopo estenuanti visite sanitarie. All’arrivo, agli italiani erano assegnati come alloggi le baracche e gli hangar dei campi di concentramento e il lavoro in miniera avveniva centinaia di metri sottoterra, tra alte temperature, sofferenze, lutti (20mila circa), ma soprattutto tra le numerose invalidità permanenti (15mila circa) dovute alla silicosi.

Una giornata, quella di oggi, ricordata anche dal presidente della Regione Veneto Luca Zaia: “Quando parliamo di Marcinelle non possiamo dimenticare che i minatori in Belgio erano manodopera inviata in cambio di quintali di carbone per l’Italia: praticamente uomini barattati con materie prime, sulla base di precisi accordi. Quel giorno del 1956 il Veneto pagò quello scambio con cinque caduti. Li ricordiamo con affetto e riconoscenza perché sono il simbolo di un Veneto che, contrariamente a quello che qualcuno vuole far credere con scopi politici, ha conosciuto la povertà e il sacrificio e non è insensibile alle difficoltà altrui”.

“Erano lavoratori seri ed impegnati – aggiunge – che affrontarono l’impossibile per garantire dignità alle loro famiglie. Come altre migliaia di Veneti, si fecero conoscere e rispettare perché nei paesi dove giunsero non andarono a bighellonare o riempire le carceri. Lavorarono duramente, portando benessere e sviluppo nel paese che li ospitava e in quello dove avevano lasciato affetti e radici”.

“Marcinelle è un simbolo che ci impone di tenere viva la memoria su questa tragedia – conclude Zaia -. Un monito a non dimenticare tutta la storia della nostra emigrazione e, sulla strada di quello che è già un nostro preciso impegno, a garantire sempre maggior sicurezza nei luoghi di lavoro affinché nessuno debba più rischiare la vita nell’assicurare una vita dignitosa alla sua famiglia”.

A Codognè oggi è stata inaugurata una targa in memoria del concittadino Mario Piccin, ricordato anche ieri con una cerimonia su iniziativa dell’Associazione Trevisani nel mondo, in collaborazione con il Comune.

“Questo ricordo era una promessa fatta alla figlia di Mario, per non dimenticare. Poi il covid ci ha costretto a posticipare l’iniziativa. – afferma il sindaco Lisa Tommasella – Oggi, grazie alla preziosa collaborazione della Associazione Trevisani nel Mondo, sezione di Codogne’, doniamo alla comunità un piccolo monumento per non scordare il sacrificio di tante persone che hanno lasciato la terra natale, accettando lavori massacranti, mettendo a rischio la loro vita, per dare un futuro migliore ai loro figli e nipoti, cioè noi, nuove generazioni”.

Bandiera a mezz’asta a Montebelluna in occasione della “Giornata del sacrificio del lavoro italiano nel mondo”.

Il Comune di Montebelluna ha ricordato questa tragedia ospitando nel 2018 anni fa nell’ex Pretura la mostra “Uomini in cambio di carbone. Storie di italiani nelle miniere del Belgio” promossa ed organizzata dalla sezione dei Trevisani nel Mondo di Montebelluna e con il patrocinio della Regione Veneto, del Comune di Montebelluna, per far conoscere alle nuove generazioni le tragedie e le sofferenze di tante famiglie italiane che sono state costrette ad emigrare per sopravvivere alla povertà.

“Con questa giornata ricordiamo le vittime che persero la vita in una delle più spaventose tragedie del lavoro, ma onoriamo tutti i caduti, anche coloro che persero la vita nelle miniere, nei cantieri e chi ancora oggi, purtroppo, muore mentre sta lavorando” ricorda il sindaco di Montebelluna Adalberto Bordin.

“Purtroppo quello delle morti sul lavoro è un tema sempre attuale e per il quale gli sforzi sulla sicurezza e la prevenzione non sono ancora adeguati perché fintantoché ci sarà anche solo una persona morta sul lavoro, significherà che si può fare di più e meglio. – precisa il primo cittadino – Ma questa ricorrenza serve anche per ricordare il nostro passato, fatto di tante persone che, con coraggio e sacrifico, per garantirsi il pane o un futuro migliore decisero di emigrare in paesi stranieri, mettendo in gioco e a volte anche a rischio la propria vita. A loro, e ai discendenti dl nostro concittadino Guerrino Casanova, il nostro pensiero”.

(Foto: web – per gentile concessione di Lisa Tommasella).
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