Nelle terre selvagge della Slovenia, quando si alza la bruma, il popolo della foresta si muove. I rami crepitano, le foglie cadono lente e l’osservatore silenzioso percepisce di essere entrato a casa di qualcun altro. Occorre così muoversi lentamente, rispettosi ma senza chiedere il permesso, tra i larici e le conifere, evitando di spezzare le radici, graffiare il muschio sui ceppi e sulle cortecce, o disturbare le ghiandaie e i pettirossi nelle loro mansioni quotidiane. Ai sentieri, ampi o stretti che siano, non si possono fare domande: sono tortuosi, con poche indicazioni, e si insinuano nelle profondità della foresta per chilometri e chilometri.
Avvicinandosi alle radure o alle ampie distese pianeggianti dove giacciono, quasi come ospiti temporanei, piccoli ordinati villaggi silenziosi, è possibile ammirare alcuni animali nella loro condizione più naturale e selvatica: volpi dal manto rosseggiante che passeggiano in equilibrio sui tronchi e che osservano sospettose il proprio riflesso, caprioli irrequieti che salticchiano da una parte all’altra della prateria e ancora scoiattoli, tassì, cervi, rapaci e roditori. Ma vedere, o fotografare, o riprendere i veri principi di queste distese incontaminate è un’altra storia: assieme al fotografo naturalista Giuliano Scarparo e ad alcuni conoscitori del luogo ci siamo avvicinati a una delle specie più affascinanti d’Europa: l’orso bruno europeo.
Anche se questa foresta, in Slovenia, è il luogo con maggior densità di esemplari per chilometro quadrato, non è affatto scontato vedere un orso: occorre rimanere in totale silenzio per ore, all’interno del capanno, evitando di uscire a qualunque costo, pena il cambiamento delle abitudini degli esemplari e quindi l’impossibilità di rivederli di nuovo nello stesso punto. Il capanno, che è coperto su quattro lati, consente una protezione dalla vista degli orsi, che comunque è limitata, mentre un sistema di tubature porta l’aria in alto, allontanando gli odori dall’acutissimo olfatto di questi animali: per osservarli è comunque obbligatorio evitare qualsiasi genere di profumo troppo intenso, deodorante o balsamo. L’olfatto è il senso centrale di questo imponente mammifero, assieme all’udito: gli orsi possono percepire la presenza di cibo a chilometri di distanza, così come l’odore di un altro esemplare, che si tratti di un rivale o di una possibile compagna. Per questo senso così sviluppato, cento volte più che in un essere umano, gli orsi si muovono con il muso solitamente molto vicino al terreno, alzandosi di tanto in tanto su due zampe per osservare qualcosa che ha attirato la loro attenzione.
Come spiegano le guide del posto, una volta raggiunto il cibo, la loro attenzione cala notevolmente, anche se l’attività di masticazione viene ritmata e interrotta a tratti regolari per controllare nei dintorni: specialmente nelle femmine con i cuccioli a seguito, l’arrivo di un maschio crea tensione e allerta. Al segnale della madre, il cucciolo può salire sugli alberi con facilità, grazie agli artigli, che non sono retrattili e che possono raggiungere da adulti una lunghezza di sei-otto centimetri: l’orso si definisce plantigrado, in quanto appoggia a terra l’intera impronta e per questo motivo le tracce si presentano subito come piuttosto evidenti. Dentro al capanno, assieme a Giuliano, comprendiamo anche attraverso l’ingrandimento delle fotografie che le caratteristiche del muso di vari esemplare osservati in un complessivo di quattordici ore di appostamento hanno delle “fisionomie” piuttosto differenti tra loro, in termini d’età e di colorazione della pelliccia, che nella stagione invernale diventa più fitta e ruvida. Appare meno complesso che in altri animali, quindi, distinguere un orso dall’altro e osservarne le vicende, capirne gli schemi sociali.
“Quella con gli orsi è una situazione “controllata”: dove si rimane in un capanno, in una zona dove ci sono ottime possibilità di incontrarli e tutto è mirato a questo scopo – racconta Giuliano, sottovoce nel capanno – fare il fotografo naturalista consiste nel rimanere non ore, come oggi, ma giorni in attesa di un animale che potrebbe anche non presentarsi affatto, nel freddo o nell’afa, sotto la pioggia o il sole cocente. La differenza tra fotografare un animale in libertà e invece in uno zoo sta nel vederlo nella sua reale attitudine: queste creature non sono mai del tutto tranquille, hanno sempre qualcosa di cui aver paura. È questa vita trascorsa tra sopravvivenza, abitudini e istinto a rendere così intrigante questo mondo, che a ogni uscita non è mai uguale a se stesso”. Chiediamo così a Giuliano Scarparo quale sia, secondo lui, il giusto atteggiamento da avere nei confronti della natura: “Bisogna prima di tutto studiare l’ambiente, i comportamenti degli animali, bisogna soprattutto affidarsi a chi ha più esperienza di noi, con umiltà e rispetto”.
Giocosi e distratti, i cuccioli sono anche piuttosto rumorosi, mentre gli adulti non producono quasi alcun verso né rumore, tranne in rari casi: capita che le madri producano un sommesso mugolio per richiamare i piccoli e viceversa, i cuccioli producano un lieve ronzio, specie durante l’allattamento. Alcuni studi affermano che i giovani orsi rimangono con la mamma fino alla primavera del secondo anno di vita, poi si allontanano in quanto la madre va nuovamente in calore. In questo periodo, se un maschio si avvicina, lei in genere si oppone al corteggiamento. Per un qualsiasi esemplare (ma anche per l’uomo) avvicinarsi a una femmina con i cuccioli può significare provocare un attacco, specie se non si tratta di un maschio sufficientemente imponente da mettere in fuga la famigliola. È interessante sapere che i fratelli della stessa cucciolata stanno solitamente assieme ancora per qualche tempo dopo l’allontanamento dalla madre, prima di dividersi e confermarsi maturi e indipendenti.
La sottospecie slovena è più piccola di quanto rifletta l’immaginario collettivo, che indica il grizzly o il kodiak come l’orso per l’eccellenza, ma vedere un maschio adulto di poco meno di due quintali a pochi metri da sé fa comunque un certo effetto. Nonostante sembri tozzo e sia prevalentemente vegetariano, un esemplare del genere può arrivare a quaranta chilometri orari. È praticamente impossibile avvistare gli orsi tra dicembre e marzo, quando vanno in letargo: restano nella loro tana nascosta nel cuore della foresta mantenendo una sorta di ibernazione, che rallenta il battito cardiaco con una temperatura corporea più bassa, per consumare meno energie.
Il passaggio di orsi di provenienza slovena in Veneto è stato documentato fin dagli anni Settanta e ha riguardato da una decina a una ventina di esemplari. Non molto tempo fa un orso è stato ripreso in località Cimagogna ad Auronzo di Cadore e alcune segnalazioni ne hanno indicato la presenza giusto quest’anno anche in Comelico. Il fatto che alcuni orsi, come il celebre orso Dino, percorrano in esplorazione centinaia di chilometri viene confermato dai tracciati individuati attraverso l’installazione di alcuni collari GPS su alcuni individui maschi.
Nell’Appennino Centrale, invece, l’orso marsicano c’è sempre stato, anche se la sopravvivenza della sua specie è a rischio. In un recente articolo del National Geografic a loro dedicato, si parla anche di una teoria secondo la quale l’orso non sarebbe un animale così schivo e crepuscolare, ma lo sarebbe diventato per scongiurare una rapida estinzione.
In Slovenia, a questa specie è stata data la dignità di un’ampia foresta dove vivere e la possibilità di riprodursi, ma al contempo la diffusione dell’orso è regolata dalla caccia e non è raro vederne proposta la carne nei ristoranti tipici. Viene così da considerare da un altro punto di vista il tema dei grandi predatori, che in Italia è più caldo che mai: riusciremo mai a trovare un equilibrio con queste creature, orsi o lupi che siano, che partecipano alle nostre favole come antagoniste dell’uomo, ma come lui contribuiscono alla circolarità della catena alimentare?
(Foto: Giuliano Scarparo – Riproduzione riservata).
(Video: Luca Vecellio per Qdpnews.it – Riproduzione riservata).
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