Testa da marsón! I pesci d’acqua dolce nella tradizione della Marca Trevigiana: il cavedano

Il cavedano
Il cavedano

Per sfuggire alla canicola estiva mi concedo un tuffo nelle acque cristalline delle Fontane Bianche; il piacere di lasciarsi trasportare a valle dalla corrente fino a incontrare il rassicurante abbraccio del Piave è impagabile. Sott’acqua apro gli occhi giusto il tempo necessario per intuire la sagoma di un branco di cavedani curiosi che prima si avvicinano e poi, con un fulmineo guizzo controcorrente, si spostano qualche metro più a monte.

Il cavedano italico (Squalius squalus) è un ciprinide che predilige le acque correnti e i fondi ghiaiosi, ma essendo molto adattabile lo si trova in anche nei laghi, in acque fangose, salmastre addirittura in ambienti sensibilmente inquinati. Ben nota, seppure poco poetica, è la presenza di branchi di cavedani in cerca di nutrimento a ridosso degli scarichi fognari cittadini.   

Riconoscibile per la testa di dimensioni ragguardevoli, il corpo coperto di squame grigio verdi, talora con riflessi argentei e il ventre chiaro, il cavedano può raggiungere la taglia di circa 60 cm. e il peso di 3 – 4 kg.   

Oltre al cavedano italico nelle nostre acque si possono incontrare quello europeo (praticamente identico) e altre specie introdotte per la pesca sportiva; frequenti sono le ibridazioni. Specie onnivora si ciba di crostacei, insetti, alghe, piccoli pesci, anfibi e rifiuti di ogni sorta. I suoi nemici più agguerriti sono le sanguisughe, i cormorani, gli aioni, i lucci e le grosse trote.

Conosciuto in Veneto come squal o cavazzìn, il cavedano si catturava con la lenza tradizionale oppure con attrezzi quali il bertovello o bartoel (una rete da posta fissa), lo schirale o schiràl (un ampio retino) e il tramaglio (tramaio, tramaietto o tramezìn secondo le dimensioni) una rete con maglie di diversa larghezza provvista di sugheri e piombi. Un metodo per indurre le prede a impigliarsi nel tramaglio era quello di percuotere le acque con una lunga pertica in legno, il batacchio o batocio.  

Nella cucina trevigiana, come altrove, il cavedano aveva un interesse marginale per via delle carni molto liscose e che risentono della qualità delle acque. Se il novellame o i filetti finivano fritti o messi in carpione, gli esemplari adulti venivano lessati e pazientemente diliscati; le carni, arricchite con erbe aromatiche, uova e limone servivano a realizzare polpette e sformati. Per invogliare i più piccoli era frequente l’uso di stampini a forma di pesce.

I cavedani pescati nei grandi laghi come il Garda, senz’altro più pregiati, si prestano tutt’ora a realizzare preparazioni sofisticate come i ravioli di cavedano che, almeno in parte, restituiscono un po’ di dignità al cosiddetto “spazzino delle acque”.

(Foto: Pesca Fiume).
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