Giovedi 24 giugno si è tenuta a San Vito di Altivole la proiezione all’aperto del documentario “Le voyage d’or” girato dal regista Riccardo De Col, sulla ristrutturazione della tomba Brion.
Monumento onorante la memoria di Giuseppe Brion, voluto dalla moglie Onorina ed eretto tra il 1970 e il 1978, la sua costruzione all’epoca ha creato non pochi tumulti nella cittadina: era infatti il periodo dell’austerity, e il popolo era contrario alla enorme spesa che la famiglia Brion stava per affrontare.
Il docufilm mostra come ora i tempi siano cambiati e la tomba Brion sia diventata un centro turistico di estrema importanza architettonica, capace di attirare quindicimila visitatori annualmente, in particolare studenti di architettura e maestri del mestiere.
I due protagonisti sono Lucia Lijima, giovane visitatrice proveniente da quel Giappone tanto amato da Carlo Scarpa, e la stessa magnifica struttura monumentale presente ad Altivole. È infatti dalla commistione dell’arte orientale con quella europea che Scarpa sviluppò il suo progetto, proponendo una riflessione sulla visione della morte in due filosofie agli antipodi del globo.
Nella tomba non vi è un’enfatizzazione della morte, ma come vuole la cultura orientale il monumento è dedicato alla memoria del nome di chi vi è sepolto. Un luogo in cui i vivi possono recarsi per incontrare i defunti, più che per piangerli, e per poter onorarne il loro ricordo.
Il complesso si sviluppa secondo un criterio di tensioni continue, dalle quali sbocciano equilibri unici e inaspettati. Una struttura immobile che prende vita grazie all’applicazione del principio Giapponese del Tatemono, ovvero del dare vita a ciò che giace inerme, grazie all’utilizzo di specchi d’acqua e materiali grezzi che nel tempo si modificano e cambiano aspetto, come se fossero essere vivi in perenne crescita.
È infatti una struttura in continua e paradossale evoluzione, un’evoluzione unica e fondamentale per la singolarità del complesso; il compito dei restauratori, infatti, prevedeva di lavorare sulla struttura senza ammodernare i materiali e le superfici, in quanto è il segno percettibile del tempo a donare gran parte dell’unicità al monumento.
A tal fine sono state interpellate le maggiori maestranze veneziane e venete, gli stessi artigiani che cinquant’anni fa metterono mano per primi ai progetti di Scarpa, nomi come Orsoni, Zanon, Capovilla e Morseletto.
La struttura, che di giorno è caratterizzata da geometrie definite e dure, al chiaro di luna prende una nuova forma: proprio come in “Elogio dell’ombra” di Tanizaki Scarpa fa si che alla luce della luna piena, le ombre nascondano spigoli e angoli, generando un complesso che al primo sguardo sembra differente, nuovo.
È in quest’ottica che elementi d’oro vengono utilizzati per raccogliere la luce anche nel buio più profondo e rifletterne l’energia nelle intercapedini più oscure.
Riccardo De Col, già regista di un documentario sul centenario della morte di Carlo Scarpa, racconta ai nostri microfoni: “È un ritornare in un luogo a me noto, proponendo un racconto non scientifico ma coinvolgente e che potesse invitare alla visita. È un cimitero, ma in realtà è un luogo laico perché non ci sono simbologie strettamente legate alla religione. Un luogo dal grande magnetismo e dal grande fascino, che segue i ritmi naturali della vita, morte e rinascita”.
“Vorrei tornare con il violoncellista Mario Brunello, perchè la tomba si può prestare ad eventi trasversali in tutte le sfere artistiche, è un luogo di vita. – continua – Una fusione incredibile di stili e culture che Scarpa, da veneziano, ha potuto percepire subliminalmente e sperimentare in prima persona. Un doppio filo per le maestranze veneziane che sono tornate a lavorare al progetto grazie alla sapienza trasmessa da padre in figlio”.
(Foto: Alessandro Perin).
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