Venezia è stata spesso e volentieri definita come una città misteriosa, dai molteplici significati e simbologie nascoste, tutte da decifrare.
Luogo di commercio, da cui i mercanti partivano verso le rotte orientali, ancora oggi conserva iconografie che riuniscono diverse culture.
Venezia può quindi essere paragonata a un libro aperto, con tante pagine ancora da comprendere e decifrare.
E tra le tante storie che ancora non sono state raccontate, c’è quella della Basilica di San Marco e del suo portale maggiore, ricco d’arte ma che, se letto da un’altra prospettiva, svela un ciclo astronomico risalente al 1200.
A confermare questa tesi, frutto di un’approfondita ricerca, è stata la professoressa Gloria Vallese, docente all’Accademia di Belle Arti della città lagunare, in occasione di una conferenza tenuta lo scorso mercoledì 11 ottobre, nell’ambito dei “Mercoledì di San Rocco”, organizzati alla Scuola Grande di San Rocco a Venezia.
Un fatto che, da un certo punto di vista, non sorprende, se si fa un passo indietro in un’epoca dove i mezzi erano nettamente inferiori a quelli odierni.
Una Venezia dove l’attenzione alle stelle era speciale, con la popolazione letteralmente “col naso all’insù” e una conoscenza del ciclo lunare nettamente superiore a quella odierna, sfruttata dai veneziani per le proprie esigenze di mercanti.
Un fatto che, all’apparenza, appare ovvio, ma che in realtà nel tempo non ha mai visto un suo approfondimento, secondo quanto riferito da Vallese.
Anche i dogi riconobbero l’importanza dell’astronomia: se si sale nella loro sala del trono, infatti, un globo lunare accompagna un altro terrestre, segno di quanto non esista geografia senza astronomia ma, soprattutto, di quanto “non si possa dominare il mondo, senza cielo“.
Chi osservava il portale maggiore, riconosceva in esso un ciclo lunare da consultare, grazie alle diverse immagini lì presenti, ognuna corrispondente a una costellazione differente, con influenze orientaleggianti.
Se Vega (la stella più luminosa della costellazione della Lira) veste i panni di un’aquila, le Pleiadi sono richiamate dalla figura di una chioccia con i suoi pulcini, mentre il Sole è incarnato nel profilo di un leone: tutti immagini di animali, in apparenza accostati gli uni agli altri per un’esigenza artistica.
Tra loro spicca inoltre la figura della Vendemmiatrice (Vindemiatrix), figlia di Virgo e stella attesa di norma a fine luglio, per segnalare il cambio di colore dell’uva, qui “travestita” con i panni di una fanciulla, intenta a versare della birra, comunemente usata per festeggiare l’inizio della trebbiatura.
Un vichingo, con i denti digrignanti e i capelli dritti in testa, in più armato di scudo, incarna invece il punto più alto del sole.
Immagini lì posizionate in attesa di ricevere la luce solare, motivo in più a conferma di quanto il portale della basilica fosse stato studiato apposta per fornire una lettura astronomica.
La cupola della Basilica, invece, racchiude in sè elementi appartenenti a culture diverse, segno di quanto l’astronomia fosse un linguaggio comune, adottato per accogliere chiunque fosse di passaggio.
Intanto la fuseruola, che contorna il bordo del portale, si allontana da una funzione puramente ornamentale, poiché fu strumento per contare i giorni dei mesi lunari e le ore, grazie all’ombra proiettata sulle dita poste su diversi punti.
A fare da cornice, anche delle particolari formelle, con i loro animali messi in particolari posture, collocate anche sulle facciate degli antichi palazzi della città, in grado di fornire un orientamento a chi si muoveva tra i canali cittadini.
“Ciò mostra l’abitudine dei Veneziani di vedere la loro città sui cieli stellati – il commento di Gloria Vallese – Un sistema diffuso sulle vie commerciali, anche in Nord Europa e in Oriente”.
Un linguqggio scomparso, tutto da decifrare, quello astronomico nella città lagunare, che dimostra quanto Venezia resti uno scrigno di messaggi ancora da scoprire. E per questo va preservata.
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