Nelle profondità degli oceani, dove la luce solare penetra solo parzialmente, i delfini hanno sviluppato un sistema di comunicazione e navigazione che continua a stupire gli scienziati di tutto il mondo. Questo sistema, noto come ecolocalizzazione o sonar biologico, permette a questi affascinanti mammiferi marini di “vedere” con il suono, rivelando un mondo sottomarino invisibile ai nostri occhi.
Un sistema raffinato da milioni di anni
L’ecolocalizzazione dei delfini rappresenta il risultato di milioni di anni di evoluzione. Questo sistema è così sofisticato che supera le capacità dei sonar tecnologici più avanzati. Persino la Marina degli Stati Uniti, con tutta la sua tecnologia, non è riuscita a replicare pienamente l’efficacia del sonar dei delfini nella rilevazione di mine sottomarine.
Il delfino tursiope (Tursiops truncatus), una delle specie più studiate, emette brevi “click” a banda larga con frequenze che possono raggiungere i 120-130 kHz – ben oltre la soglia dell’udito umano che si ferma a circa 20 kHz. Questi suoni durano appena 40-70 microsecondi e hanno livelli sonori impressionanti, tra i 210 e i 227 dB riferiti a 1 μPa.
Come funziona l’ecolocalizzazione
Il meccanismo è ingegnoso nella sua semplicità: il delfino emette un suono attraverso il melone, una struttura adiposa situata nella parte anteriore della testa. Questo suono viaggia nell’acqua e quando incontra un oggetto, rimbalza creando un’eco che torna al delfino. Attraverso la mandibola inferiore e l’orecchio interno, il delfino riceve questi echi e il suo cervello li elabora per creare un'”immagine acustica” dell’ambiente circostante.
Ciò che rende straordinario questo sistema non sono tanto le caratteristiche fisiche dei suoni o la direzionalità della ricezione – che sono paragonabili a quelle di molti sonar tecnologici – quanto l’eccezionale capacità di discriminazione tra diversi bersagli.
Capacità di discriminazione sorprendenti
Esperimenti con delfini bendati hanno rivelato abilità straordinarie. In uno studio, tre delfini sono stati in grado di distinguere tra un disco di rame standard di 0,22 cm di spessore e dischi di alluminio o ottone dello stesso diametro. Ancora più impressionante, potevano discriminare dischi di rame con spessori differenti.
In un altro esperimento, un delfino a distanza di 8 metri poteva rilevare differenze di spessore di appena 0,23-0,27 mm tra cilindri metallici. Per mettere questa precisione in prospettiva, è come distinguere al tatto lo spessore di un foglio di carta in più o in meno all’interno di una risma.
Forse ancora più sorprendente, i delfini possono distinguere tra sfere solide dello stesso diametro ma composte da materiali diversi, come acciaio inossidabile, ottone, alluminio e nylon, sempre a una distanza di 8 metri.
L’uso del sonar in natura
Ma come utilizzano i delfini queste capacità in natura? Osservazioni di delfini selvatici hanno rivelato che modulano il livello sonoro dei loro click in base alla distanza dal bersaglio, aumentandolo di 20 log R (dove R è la distanza). Questo può essere interpretato come una forma di guadagno variabile nel tempo – invece di modificare la sensibilità del ricevitore, come fanno i sonar tecnologici, i delfini variano il livello di trasmissione.
Un modello sviluppato per le orche (parenti più grandi dei delfini) che cacciano salmoni Chinook nelle acque della Columbia Britannica mostra quanto sia efficace questo sistema. Quando un’orca a 1 metro di profondità cerca di localizzare un salmone a 50 metri di profondità e a 100 metri di distanza orizzontale, l’eco che riceve è di circa 78 dB (re 1 μPa), ben 28 dB sopra la sua soglia uditiva di 50 dB. Questo dà all’orca un ampio margine per rilevare la preda.
Il segreto del successo
Qual è il segreto di questa straordinaria capacità? I ricercatori ritengono che non risieda in un udito particolarmente affinato o in una direzionalità eccezionale, ma piuttosto nell’uso di segnali a banda larga e di breve durata che offrono ottime proprietà di risoluzione temporale. In parole più semplici, i delfini utilizzano una gamma molto ampia di frequenze simultaneamente (da 100 Hz a 150 kHz, pari a 12 ottave) e segnali molto brevi, che permettono loro di percepire sottili differenze nella struttura degli echi.
Inoltre, l’elevata mobilità dei delfini, combinata con una buona memoria spaziale uditiva, migliora ulteriormente le loro capacità di discriminazione.
Implicazioni e applicazioni
Lo studio dell’ecolocalizzazione dei delfini non è solo affascinante dal punto di vista scientifico, ma offre anche potenziali applicazioni pratiche. Comprendere come questi animali riescano a discriminare tra oggetti così simili potrebbe ispirare miglioramenti nei sistemi sonar utilizzati per la navigazione marittima, l’esplorazione sottomarina e persino in applicazioni mediche come l’ecografia.
Inoltre, queste ricerche ci ricordano quanto ancora abbiamo da imparare dal mondo naturale. Dopo decenni di studi, gli scienziati non sono ancora in grado di costruire un sonar che possa eguagliare le capacità di discriminazione di un delfino – un promemoria dell’incredibile sofisticatezza che l’evoluzione può raggiungere nel corso di milioni di anni.
Nel silenzio degli abissi oceanici, i delfini continuano a “vedere” con il suono, navigando e cacciando con una precisione che sfida la nostra comprensione e stimola la nostra immaginazione scientifica.
(Autore: Paola Peresin)
(Foto: Wikipedia)
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