Giornata delle Barriere Coralline: quando la responsabilità ambientale diventa una questione di coerenza

Ogni anno, in occasione della Giornata Internazionale delle Barriere Coralline, assistiamo a un fenomeno tanto familiare quanto problematico: campagne di sensibilizzazione che si rivolgono principalmente alle comunità tropicali, esortandole a proteggere questi ecosistemi straordinari. Eppure, dietro questa apparente nobiltà d’intenti, si nasconde una contraddizione fondamentale che raramente viene messa in discussione.

È sorprendentemente facile per noi, abitanti di paesi temperati, puntare il dito verso le comunità costiere dei tropici, chiedendo loro di rinunciare alla pesca intensiva, al turismo di massa o allo sviluppo costiero per salvaguardare le barriere coralline. Ma quanto siamo disposti a guardare in casa nostra e applicare gli stessi standard di conservazione ai nostri ecosistemi locali?

La delega della responsabilità ambientale rappresenta uno dei meccanismi psicologici più insidiosi della nostra epoca. Quando parliamo di barriere coralline, è facile sentirsi emotivamente coinvolti davanti alle immagini di coralli sbiancati nelle Maldive o nella Grande Barriera Corallina australiana. La distanza geografica ci permette di esprimere indignazione senza dover affrontare le conseguenze concrete delle nostre richieste di conservazione.

Ma cosa succederebbe se applicassimo la stessa logica ai nostri territori? Se chiedessimo alle comunità alpine di rinunciare completamente allo sci per preservare gli ecosistemi montani? Se pretendessimo che i pescatori del Mediterraneo smettessero di pescare per proteggere la biodiversità marina locale? Se esigessimo che le città costiere europee rinunciassero al turismo balneare per salvaguardare le dune e gli habitat costieri?

La realtà scomoda è che spesso le comunità che vivono accanto alle barriere coralline dipendono da questi ecosistemi per la loro stessa sopravvivenza. La pesca artigianale, l’ecoturismo e l’acquacoltura rappresentano fonti di reddito essenziali per milioni di persone. Chiedere loro di abbandonare queste attività senza offrire alternative economiche concrete equivale a imporre sacrifici che noi stessi non saremmo disposti a fare.

Prendiamo ad esempio le zone umide europee, ecosistemi tanto cruciali quanto le barriere coralline tropicali. Quante di queste aree sono state bonificate negli ultimi decenni per fare spazio all’agricoltura intensiva o all’espansione urbana? Quanti fiumi sono stati canalizzati, quante foreste sono state abbattute, quanti prati sono stati convertiti in centri commerciali? La nostra storia di conservazione ambientale è tutt’altro che esemplare, eppure continuiamo a predicare agli altri quello che non riusciamo a praticare.

Il paradosso della conservazione a distanza diventa ancora più evidente quando consideriamo l’impatto delle nostre scelte quotidiane sui coralli tropicali. Le emissioni di CO2 dei nostri sistemi di trasporto e produzione contribuiscono all’acidificazione degli oceani e al riscaldamento globale, cause dirette dello sbiancamento dei coralli. I prodotti chimici dei nostri cosmetici e detergenti finiscono negli oceani, danneggiando gli ecosistemi marini. Eppure, è più semplice chiedere a un pescatore delle Filippine di cambiare le sue reti piuttosto che mettere in discussione i nostri modelli di consumo.

Una conservazione responsabile e coerente dovrebbe iniziare dal riconoscimento delle nostre contraddizioni. Prima di esortare altri a proteggere i loro ecosistemi, dovremmo dimostrare di essere capaci di proteggere i nostri. Questo significa investire seriamente nella restaurazione degli habitat locali, sostenere pratiche agricole sostenibili, ridurre drasticamente le nostre emissioni e ripensare i nostri modelli di sviluppo urbano.

Non si tratta di abbandonare la causa delle barriere coralline, ma di affrontarla con maggiore umiltà e coerenza. Le campagne di conservazione dovrebbero accompagnarsi a cambiamenti concreti nei nostri comportamenti e nelle nostre politiche domestiche. Solo dimostrando di essere capaci di sacrifici reali per la conservazione ambientale nei nostri territori potremo chiedere lo stesso ad altri, con la credibilità che deriva dall’esempio.

La vera sfida della Giornata delle Barriere Coralline non è solo sensibilizzare sul destino di questi ecosistemi lontani, ma riflettere sulla nostra capacità di essere coerenti tra quello che predichiamo e quello che pratichiamo. Solo così la conservazione ambientale potrà trasformarsi da un esercizio di belle intenzioni a un movimento genuinamente trasformativo e globalmente responsabile.

(Autore: Paola Peresin)
(Foto: Vlad61 da Getty Images)
(Articolo di proprietà di Dplay Srl)
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