La sostenibilità tra retorica e realtà: quando la pseudoscienza mina le buone intenzioni

Viviamo in un’epoca in cui la parola sostenibilità risuona ovunque: dai corridoi delle università alle bacheche dei social media, dalle campagne pubblicitarie alle dichiarazioni dei politici. Eppure, dietro questa apparente unanimità di intenti, si nasconde una realtà più complessa e preoccupante. La sostenibilità rischia di diventare una “insalata di parole senza senso”, un concetto svuotato del suo significato originario dall’accomodamento intellettuale e dalla mancanza di competenze effettive.

Il problema non risiede nel valore morale del concetto di sostenibilità, che rimane indiscutibilmente alto e necessario. La questione è che troppo spesso ci accontentiamo di una comprensione superficiale di fenomeni estremamente complessi, preferendo slogan accattivanti a un’analisi rigorosa dei dati e dei meccanismi che governano i sistemi naturali ed economici. Questa tendenza all’accomodamento ci porta a credere che basti pronunciare le parole giuste per aver risolto il problema, quando stiamo solo creando l’illusione del progresso.

La pseudoscienza ideologica ha trovato terreno fertile in questo ambito. Spesso assistiamo a discussioni dove le evidenze empiriche vengono piegate a narrazioni preconfezionate, dove la complessità dei sistemi viene ridotta a slogan facilmente digeribili dal pubblico. Il risultato è una comunicazione che suona bene ma che manca delle basi scientifiche necessarie per guidare politiche efficaci e durature.

L’accomodamento si manifesta anche nell’accettazione acritica di soluzioni apparentemente semplici a problemi che richiederebbero invece analisi multidisciplinari approfondite. Quante volte sentiamo parlare di “economia circolare” o “transizione verde” senza che venga spiegato concretamente cosa significhino questi termini, quali siano i trade-off coinvolti, o come si possano implementare su scala reale? La mancanza di competenze tecniche specifiche in chi comunica e in chi riceve il messaggio crea un circolo vizioso dove l’imprecisione si autoalimenta.

Il rischio è quello di costruire un castello di carte fatto di buone intenzioni ma fondamenta fragili. Quando le decisioni vengono prese sulla base di una comprensione superficiale dei problemi, gli effetti possono essere controproducenti. Politiche ambientali mal concepite possono causare danni economici sproporzionati senza ottenere i benefici ambientali sperati, o peggio ancora, possono creare nuovi problemi ambientali mascherati da soluzioni sostenibili.

La vera sostenibilità richiede rigore metodologico, competenze interdisciplinari che spaziano dalla chimica alla fisica, dall’economia all’ingegneria, dalla biologia alla sociologia. Richiede la capacità di quantificare gli impatti, di modellare scenari complessi, di comprendere le interconnessioni tra sistemi apparentemente separati. Non si tratta solo di avere buone intenzioni, ma di possedere gli strumenti conoscitivi per trasformare quelle intenzioni in azioni efficaci.

L’urgenza delle sfide ambientali che affrontiamo non può essere una scusa per abbassare la guardia sulla qualità del dibattito scientifico. Al contrario, dovrebbe spingerci verso un maggiore rigore, verso una comunicazione più precisa e verso investimenti massicci nella formazione di competenze specifiche. Solo così potremo evitare che la sostenibilità diventi davvero un’insalata di parole, preservandone invece il potenziale trasformativo per le nostre società.

La strada verso un futuro sostenibile passa necessariamente attraverso la competenza, l’onestà intellettuale e il coraggio di affrontare la complessità senza cedere alla tentazione dell’oversemplificazione. Solo così potremo trasformare un nobile ideale in una realtà concreta e duratura.

Eppure, sarebbe bello sbagliarsi. Sarebbe meraviglioso scoprire che esistono esempi concreti di virtuosità sostenibile supportati da dati solidi e risultati misurabili, progetti che dimostrano come la combinazione di competenze tecniche, investimenti mirati e visione a lungo termine possa davvero funzionare. Esempi reali, dati che ci raccontino di piani d’azione ecosistemici effettivamente messi in atto, o di comunità locali che hanno raggiunto l’autosufficienza energetica attraverso progetti di energia rinnovabile ben pianificati, con percentuali precise di riduzione dei consumi e tempi di ritorno dell’investimento chiaramente definiti.

Speriamo che qualcuno possa smentire questo articolo condividendo numeri reali, studi di caso documentati e risultati tangibili che dimostrino come la sostenibilità possa essere molto più di una bella parola. Perché se esistono davvero questi esempi, se ci sono dati concreti che dimostrano il successo di progetti sostenibili, allora forse c’è ancora speranza che nel nostro territorio l’insalata di parole possa trasformarsi in un piatto sostanzioso e nutriente per il nostro futuro.

(Autore: Paola Peresin)
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