LZO, il “birrificio agricolo” con due anime: “Ci piace contaminarci”

Cosa c’è di meglio, con l’estate che batte alla porte e la calura che incalza, del gustarsi una bella birra fresca? Possibilmente artigianale e fatta con passione, amore per il prodotto e il territorio e, che non guasta, con un’attenzione particolare alla sostenibilità e un buona dose di creatività.

Tutti ingredienti che si ritrovano nelle birre, classiche o innovative (uniche), di LZO, birrificio artigianale di Conegliano. Abbiamo fatto una chiacchierata con Jacopo, 36enne di Santa Lucia di Piave, artefice di questa bella e giovane realtà.

Jacopo, ci puo’ raccontare la storia del birrificio? Com’è nato questo progetto imprenditoriale?

“Il birrificio nasce circa nove anni fa, come tante avventure, da una grande passione. Io studiavo a Milano e lì c’era già la possibilità di assaggiare diverse birre artigianali, cito sempre ad esempio il birrificio Lambrate perché per me è stata una scoperta. Poi sono stato anche ‘contaminato’ dal territorio, sempre con l’idea di impianti, stabilimenti di produzione, il mondo del vino… che è stato anche all’inizio un ambiente che ci ha molto aiutato, facendoci da subito immergere con i vari fornitori, i laboratori e tutto quello che poteva essere una filiera che ci dava supporto. Anche, in particolare, quella agricola, perché fin dall’inizio LZO ha voluto essere un ‘birrificio agricolo’“.

“Oggi abbiamo circa una quarantina di ettari a seminativo e poco meno di un ettaro dove coltiviamo il nostro luppolo, quindi poi il progetto è andato ampliandosi in questi nove anni e non vediamo l’ora di spegnere la decima candelina il prossimo”.

Qual è la vostra filosofia? E quale la missione?

“Le idee che muovono LZO sono innanzitutto quelle, come accennavo prima, di utilizzare e sostenere la filiera agricola italiana, che è la ragione per la quale fin da subito abbiamo cominciato a coltivare l’orzo e poi abbiamo cominciato a coltivare anche il luppolo. Secondariamente ci piace esplorare tutto quello che è il mondo artigianale, che è stimolante perché qualcuno si definisce ‘rivoluzionario’ ma vuole scoprire. La cosa bella è questa: mixare ingredienti particolari, tecniche estrose, riuscire a farsi contaminare anche da tutto quello che è esterno, magari semplicemente all’ambito produttivo. All’inizio abbiamo cominciato a lavorare ‘La Cima’, la nostra birra bandiera, concentrandoci sulla bassa fermentazione e sulle birre più semplici da bere, che non sono necessariamente le più semplici da fare, ma all’interno di quelli che sono un po’ i canoni storici e che devono essere rispettati”.

“LZO, a proposito di filosofia, vive un po’ di due anime che potrebbero sembrare in contrasto tra loro, ma in realtà sono ben connesse tra di loro: ovvero da una parte realizzare 9 birre costanti, sempre uguali, all’interno di quelli che sono i canoni e gli stili classici, che sono quelle caratterizzate dalla scritta rossa in etichetta. E tra queste spicca sicuramente ‘La Cima’, con la quale abbiamo vinto ormai nel 2020 la medaglia di ‘Birra dell’anno’. Prodotti, questi, che in qualche modo rappresentano l’ossatura, la continuità, anche la disciplina nel fare le cose e farle bene. A fianco però abbiamo un progetto che è estremamente stimolante, lo chiamiamo dropout, che ci vede impegnati a creare una birra diversa ogni circa due settimane, collaborare con artisti che realizzano di volta in volta delle etichette colorate, estrose, più o meno artistiche (a seconda della personalità di ciascuno) e che, in qualche modo, ci portano anche ad essere proiettati all’esterno del mero mondo della produzione della birra, consentendoci anche il confronto con quelle che magari sono le scene culturali, non solo locali, ma anche italiane (e adesso stiamo approcciando un po’ all’estero). Quindi una delle nostre missioni è il farsi contaminare e il contaminare il mondo”.

Perché la lattina?

“Abbiamo scelto la lattina come contenitore in un secondo momento, nel senso che quando è iniziata l’avventura di LZO non c’era ancora la disponibilità di impianti e della relativa filiera di rifornimento per le lattine vuote in Italia. A differenza dell’estero, dove il movimento della birra aveva già abbracciato questo contenitore”.

“La lattina dal nostro punto di vista è un contenitore più ‘figo’, nel senso che è esteticamente più gradevole rispetto a quello della bottiglia, ed è anche più pratico, nel senso che è più leggero e la lattina si raffredda molto più velocemente rispetto al vetro. Ultimo, ma non ultimo, un tema che per noi in LZO è molto rilevante: la lattina ha anche un minore impatto ambientale, perché l’alluminio si ricicla all’infinito e soprattutto una lattina pesa solo 20 grammi contro i 200 di una bottiglia di vetro. Questo significa che, quando devi portare a riciclare una bottiglia di vetro, dovrai riciclare 200 grammi di prodotto, una lattina invece solo 20 grammi. Oltre agli ovvi minori costi, in termini anche ambientali, di trasporto e di spazio occupato, ci sono indubbi vantaggi”.

“Come vi accennavo, LZO tiene molto alla sostenibilità ambientale e l’ultimo impianto che abbiamo inserito è un sistema per il recupero dell’anidride carbonica, che ci permette appunto di ridurre l’anidride carbonica naturalmente prodotta durante le fermentazioni, di raccoglierla e conservarla per poi poterla riutilizzare in tutte le fasi di processo necessarie, non dovendola così più acquistare esternamente. E chiaramente, in tal modo, portando i nostri impatti di produzione dell’anidride carbonica a zero”.

Qualche numero su LZO?

“La cantina è dove produciamo le nostre birre. Come vi accennavo 9 birre sono la nostra linea continuativa, che rappresenta circa un 60% della nostra produzione totale, mentre poi a fianco c’è il progetto ‘dropout‘ che ci vede impegnati a fare circa 25 birre diverse ogni anno, che non si replicano mai ma ogni anno, ogni due settimane, sono diverse tra loro. Il ciclo base è di 2.500 litri, ne facciamo uno o due al giorno solitamente, e la produzione annuale è di 3.500 ettolitri“.

(Autore: Alessandro Lanza)
(Foto e video: Matteo De Noni)
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