La Durlindana di Orlando, Excalibur di Re Artù e la Gioiosa di Carlo Magno sono probabilmente le tre spade più celebri della storia. Forgiata almeno duemila anni prima di Cristo, evoluzione naturale del pugnale, la spada è un’arma bianca efficace e carica di significati simbolici fra i quali, il più potente, discende dalla sua somiglianza con la croce cristiana.
Usata per trafiggere o per menare fendenti, da semplice strumento offensivo, col tempo la spada è divenuta un oggetto da ostentare per la ricercatezza delle lavorazioni e la preziosità dei materiali utilizzati dagli artigiani che, a partire dal Medioevo, si riunirono in corporazioni come la fiorentina Arte degli Spadai e Corazzai nata nella prima metà del Trecento.
Qualche anno prima, nel 1297, anche i corteleri (coltellinai), gli spadai e i vagineri (produttori di astucci e guaine per lame, penne e pettini) veneziani si erano raccolti in una Scuola dandosi, come stemma, tre spade sormontate dal leone di San Marco.
Lo storico G. Tassini, nell’opera Curiosità veneziane, precisa che la corporazione mantenne la propria sede in un tratto della Calle Larga denominata Spadaria almeno sino a metà del Seicento, confidando nella benevola protezione di San Nicolò di Bari.
Fra le tante leggende legate alla spada, la più famosa delle quali è probabilmente la spada nella roccia, vi è un racconto risalente all’antichità classica e ambientato nella Sicilia dominata dal terribile tiranno Dionisio. Il dispotico sovrano, noto per la sfrenata passione per i cavalli che faceva giungere in gran numero dal Veneto, pare fosse ossessionato dalle cospirazioni e dai tradimenti.
Una leggenda vuole che proprio per questa ragione trascorresse parte del suo tempo a origliare le conversazioni dei prigionieri rinchiusi nelle latomie siracusane, le cave di pietra dette “orecchio di Dionisio”, per cogliere in tempo i segnali di pericolo.
In questo clima di perenne tensione e sospetto si colloca la vicenda di Damocle, un cortigiano che espresse pubblicamente la propria ammirazione per le fortune che circondavano il tiranno. Dionisio propose all’uomo di sedere, per un giorno, sul proprio trono ove constatare di persona l’ebbrezza del lusso e del potere.
Soltanto al culmine di un banchetto memorabile, Damocle si rese conto che sul suo capo incombeva una spada appesa con un sottile crine di cavallo. L’arma, fatta predisporre da Dionisio, rappresentava la metafora della fragilità di una condizione, quella del sovrano, in apparenza felice, ma in realtà pericolosa ed effimera.
Il cortigiano rinunciò prontamente ai privilegi e da allora, vivere sotto la spada di Damocle, è divenuto sinonimo di precarietà, insicurezza e provvisorietà. Vivono sotto la minaccia della spada di Damocle coloro che sperimentano una situazione solo apparentemente serena, ma in realtà all’ombra di una tragedia incombente.
Ritornando brevemente sui nostri passi, a Venezia, è curioso apprendere dal Tassini e da altre fonti come anticamente, nei pressi di Rialto, esistesse un’osteria della Spada (o delle Spade) teatro, durante il carnevale del 1745, di un’impresa di Giacomo Casanova.
L’avventuriero veneziano, in compagnia di otto amici, sorprese in una taverna una donna avvenente con il marito e altri due uomini. Fingendosi rappresentanti del Consiglio dei Dieci, la temutissima organizzazione poliziesca, il Casanova e i suoi sodali costrinsero i tre a seguirli sull’isola di San Giorgio ove li abbandonarono.
Quindi si recarono con la dama all’Osteria della Spada ove, a detta del Casanova, cenarono e “si diedero con essa buon tempo tutta la notte”. Una vicenda poco edificante e che lascia interdetti. Chissà se è andata veramente così e chissà come l’avrà presa il marito della gentildonna: di certo Casanova ha corso un bel rischio perché è noto che… chi di spada ferisce di spada perisce!
(Autore: Marcello Marzani)
(Foto: Marcello Marzani)
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