Danni provocati dal morso di un cane randagio: chi risarcisce?

Cestista diciassettenne del The Team di Riese Pio X ricoverato in prognosi riservata

La persona danneggiata da un cane randagio, che agisce per il risarcimento, deve provare la colpa della Pubblica Amministrazione, che presuppone la dimostrazione dell’insufficiente organizzazione del servizio di prevenzione del randagismo.

La Cassazione civile, sez. III, con sentenza 23.06.2025, n. 16788, argomenta sull’importante questione relativa al soggetto responsabile in caso di morso di un cane randagio e ai limiti della responsabilità civile. La Suprema Corte premette che, rispetto ai cani randagi, i compiti della Pubblica Amministrazione sono essenzialmente di prevenzione e di tutela della popolazione dagli animali.

La responsabilità civile per i danni causati dai cani randagi grava esclusivamente sull’ente cui le singole leggi regionali, attuative della legge quadro nazionale n. 281/1991, attribuiscono il compito di cattura e custodia degli stessi.

A differenza di quanto si ritiene solitamente, pertanto, non è responsabile sempre il Comune. Infatti, molte Regioni stabiliscono che le amministrazioni comunali sono prive di legittimazione passiva in merito alla pretesa risarcitoria per i danni causati dai cani randagi, in quanto i Comuni devono limitarsi alla gestione dei canili al fine della mera accoglienza dei cani randagi recuperati, mentre al relativo “ricovero”, che presuppone l’attività di recupero e cattura, sono tenuti i servizi veterinari delle Aziende Sanitarie.

Sulla responsabilità delle Aziende Sanitarie, poi, le stesse possono essere chiamate a rispondere dei danni causati da cani randagi a titolo responsabilità extracontrattuale.

L’art. 2043 c.c. impone al danneggiato di provare una condotta commissiva o omissiva del responsabile; la natura colposa di essa ed il nesso causale tra questa ed il danno. È una condotta colposa della Pubblica Amministrazione non adempiere i doveri ad essa imposti dalla legge. È dunque onere del danneggiato dimostrare che la Pubblica Amministrazione contro cui è rivolta la domanda di risarcimento non abbia adempiuto gli obblighi ad essa imposti dalla legge allo scopo di prevenire il randagismo e i danni che tale fenomeno può arrecare alle persone.

Tale prova può fornirsi, ad esempio, dimostrando che al servizio di prevenzione del randagismo l’Azienda Sanitaria competente non aveva destinato alcuna risorsa o risorse insufficienti; che il relativo ufficio esisteva solo sulla carta; che il servizio veniva svolto in modo saltuario o non veniva svolto affatto. Queste circostanze possono essere provate con ogni mezzo: documenti, testimoni, presunzioni, ispezioni, confessione e giuramento.

La prova che la Pubblica Amministrazione non abbia apprestato un efficace servizio di prevenzione del randagismo (e dunque la prova della condotta omissiva) non può, invece, trarsi dal mero fatto che un cane randagio abbia causato un danno.

In primo luogo, perché l’obbligazione della Pubblica Amministrazione di prevenire il randagismo è una obbligazione di mezzi, non di risultato: dunque dal fatto noto che il risultato non sia stato raggiunto non può risalirsi al fatto ignorato che l’insuccesso sia dovuto a colpa della stessa Pubblica Amministrazione. In secondo luogo, perché l’essenza della colpa consiste non solo nella prevedibilità, ma anche nella prevenibilità. E nemmeno il più capillare ed efficiente servizio di cattura potrebbe impedire del tutto che un animale randagio possa comunque trovarsi in un determinato momento sul territorio comunale.

(Autore: Luigi Aloisio – Sistema Ratio)
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