La cosiddetta febbre blu, o febbre catarrale degli ovini, continua a preoccupare il comparto zootecnico delle Dolomiti.
Si tratta di una malattia virale trasmessa da insetti vettori – in particolare moscerini del genere Culicoides – che colpisce esclusivamente i ruminanti domestici e selvatici, ma non rappresenta alcun pericolo per l’uomo. Il virus non si moltiplica nell’organismo umano e non viene trasmesso attraverso il consumo di carne, latte o derivati: non è dunque una zoonosi e non comporta rischi per la salute dei consumatori.
Scoperta nei primi del Novecento in Sudafrica, fino a pochi anni fa la febbre blu era considerata una curiosità esotica, ma negli ultimi decenni si è diffusa anche in Europa e in Italia, dove ormai è classificata come malattia endemica. Nel 2016 era comparso il sierotipo 4, che aveva colpito soprattutto la Valbelluna e le aree lungo il Piave, con mortalità contenuta. Oggi a preoccupare è il sierotipo 8, molto più aggressivo, che sta causando tassi di mortalità più elevati e colpisce anche greggi in alta quota, fino a 1500 metri.


“La pecora è la specie più vulnerabile, con sintomi gravi come febbre alta, ulcere orali, difficoltà respiratorie, zoppie e, nei casi più severi, la morte – spiega il dottor Gianluigi Zanola, direttore del servizio veterinario e sanità animale dell’Ulss 1 Dolomiti –. Il termine “lingua blu” deriva da uno dei sintomi più evidenti, anche se non sempre presente. La mortalità varia molto da gregge a gregge: in alcuni casi l’1%, in altri fino al 30% o più, a seconda dello stato immunitario degli animali. Attualmente sono noti 27 sierotipi del virus, ma nessun vaccino è in grado di coprirli tutti. Nelle nostre regioni i più diffusi sono l’1, il 3, il 4 e l’8. Per questo è fondamentale una diagnosi di laboratorio che tipizzi il virus, così da procedere con la vaccinazione mirata. Il vaccino contro il sierotipo 8 è disponibile e già molti grandi allevamenti hanno avviato le campagne di immunizzazione, mentre per le aziende più piccole l’Ulss 1 Dolomiti ha acquistato alcune dosi per sostenere le vaccinazioni”.
Particolarmente colpita la zona dell’Alpago, dove la diffusione del virus sembra legata ai focolai registrati un mese prima in provincia di Udine. Al momento la mortalità appare in calo, ma la malattia continua a manifestarsi in vari Comuni con singoli casi isolati, senza però dilagare all’interno dei greggi.
Dal punto di vista normativo, la classificazione della febbre blu come malattia endemica ha modificato anche l’approccio della polizia veterinaria: non vengono più adottate restrizioni generalizzate su intere aree, ma i vincoli si applicano ai soli allevamenti colpiti, che non possono movimentare animali vivi se non verso la macellazione.
La strategia principale resta quindi la vaccinazione, considerata l’unico strumento efficace per proteggere le greggi e limitare i danni economici. “È importante ribadire che non esiste alcun rischio per chi consuma carne o latte degli animali colpiti – sottolinea Zanola –. Il virus riguarda solo i ruminanti, e la prevenzione passa dal controllo veterinario e dalla collaborazione degli allevatori”.
(Autrice: Mihaela Condurache)
(Foto e video: Mihaela Condurache)
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