I contratti pirata rappresentano una delle principali distorsioni del sistema contrattuale italiano. Sottoscritti da organizzazioni scarsamente rappresentative, garantiscono condizioni economiche e normative inferiori, con conseguenze negative per lavoratori e datori di lavoro.
L’allarme recentemente lanciato da Confcommercio ha riportato prepotentemente all’attenzione il fenomeno dei cosiddetti “contratti pirata”, evidenziando le problematiche connesse all’applicazione di contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni sindacali e datoriali poco rappresentative. Si tratta di una questione che continua a generare criticità nel panorama giuslavoristico italiano, con ripercussioni tanto sulla tutela dei lavoratori quanto sulla corretta dinamica concorrenziale tra le imprese.
Per contratti pirata si intendono quei contratti collettivi di lavoro sottoscritti da sindacati minoritari e associazioni imprenditoriali scarsamente rappresentativi delle parti sociali, concepiti quale alternativa ai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative.
La denominazione “pirata” deriva dalla circostanza che tali accordi prevedono condizioni normative ed economiche sensibilmente inferiori rispetto a quelle garantite dai contratti sottoscritti dalle confederazioni sindacali maggiormente rappresentative, comportando minimi retributivi ridotti e altre decurtazioni dei diritti contrattuali. L’obiettivo perseguito è quello di offrire una disciplina contrattuale apparentemente più conveniente dal punto di vista dei costi, compromettendo tuttavia il livello di tutela delle prestazioni lavorative.
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha opportunamente qualificato tale fenomeno come forma di dumping contrattuale, evidenziandone la natura distorsiva. Oltre 1.000 Ccnl sono depositati presso il Cnel, ma solo una parte è firmata da soggetti realmente rappresentativi. Nei settori terziario e turismo si contano più di 250 contratti, ma la maggioranza dei lavoratori è coperta da pochi Ccnl.
Giova rammentare che l’applicazione di contratti pirata determina per i lavoratori una duplice penalizzazione.
Sul piano retributivo si registra una compressione dei minimi tabellari, con evidenti ricadute sul potere d’acquisto e sulla dignità della prestazione. Sul piano dei diritti, invece, emerge una riduzione delle prerogative contrattuali: minori permessi, limitato accesso a misure di welfare aziendale, esclusione dalla formazione erogata dagli organismi bilaterali, che possono essere istituiti esclusivamente dalle rappresentanze sindacali effettivamente rappresentative. Il fenomeno ha conosciuto un’espansione preoccupante, con una frammentazione contrattuale che indebolisce la tenuta del sistema di relazioni industriali e compromette l’uniformità delle tutele.
Contrariamente a quanto potrebbe apparire, l’applicazione di contratti pirata comporta significativi svantaggi anche per i datori di lavoro. In primo luogo, si determina una distorsione della concorrenza di mercato: gli scostamenti nel costo medio orario del lavoro, infatti, sono spesso sufficienti ad alterare le dinamiche competitive, configurando ipotesi di concorrenza sleale con le relative conseguenze sanzionatorie. Particolarmente rilevante è il rischio di esclusione dalle gare d’appalto pubbliche. Le imprese che applicano contratti privi di adeguata rappresentatività possono essere estromesse dalle procedure di gara e, in alcuni casi, esposte a richieste risarcitorie da parte dei concorrenti danneggiati. In secondo luogo, l’adozione preclude l’accesso alla contrattazione di prossimità prevista dal D.L. 138/2011, ossia quella forma di contrattazione aziendale che consente di derogare a specifiche disposizioni di legge. Tale strumento, particolarmente apprezzato dalle imprese per la flessibilità gestionale che offre, è riservato esclusivamente alle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, escludendo di fatto chi applica contratti pirata.
Infine, si segnala che l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la circolare 25.01.2018, n. 3, ha riconosciuto efficacia esclusivamente ai contratti stipulati da organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, quale strumento di contrasto ai contratti “pirata”. Gli accordi sottoscritti da soggetti privi dei requisiti di legittimazione risultano inefficaci e il personale ispettivo deve considerarli tali, adottando i conseguenti provvedimenti sanzionatori. Inoltre, l’art. 1, c. 1175 L. 296/2006 subordina il godimento di benefici normativi e contributivi all’applicazione di contratti collettivi stipulati da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
(Autore: Mario Cassaro – Sistema Ratio)
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