Un’insolita ma quanto mai azzeccata analogia tra i campi da calcio e quelli agricoli ha fatto da sfondo all’incontro con Fabio Capello al Villaggio delle Zucche dell’azienda agricola Nonno Andrea. L’ex CT e allenatore di leggendarie squadre, introdotto da Maurizio Paniz, ha offerto una vera e propria lezione su come coltivare il successo, puntando su fiducia, costanza e, soprattutto, rispetto.
“Tu provaci, Fabio”
Capello ha subito affondato le radici del suo successo nella sua infanzia a Pieris (San Canzian d’Isonzo), ricordando l’ambiente umile e la figura paterna, un maestro elementare che gli trasmise la prima, fondamentale spinta.
“Io avevo un papà maestro che aveva una grande passione per il calcio, abbiamo cominciato a giocare nel paese, non avevamo nemmeno la parrocchia, l’unica cosa importante era il campo da calcio,” ha esordito Capello.


Il trasferimento a Ferrara, a soli 15 anni, per iniziare la carriera nella SPAL, fu un momento di grande difficoltà, amplificato dalla povertà della famiglia. Fu in quell’occasione che il padre, notando un disagio nelle sue lettere, venne a trovarlo. L’incontro si concluse con un abbraccio e una frase che divenne un mantra: “Tu provaci, Fabio”, un invito all’intraprendenza che lo accompagnerà per tutta la vita di uomo e di professionista. Un incoraggiamento semplice che lo sostenne anche dopo i primi infortuni, che sembravano segnare la fine della sua carriera.
Il rispetto: l’unica regola infrangibile
Se c’è un valore che Capello ha imposto e difeso in ogni spogliatoio, è il rispetto per chi lavora dietro le quinte. L’ex tecnico ha smontato con decisione l’etichetta di “sergente di ferro“, sostituendola con un messaggio chiaro rivolto a ogni atleta.
“Nella prima riunione con le squadre e inizio anno dicevo sempre una cosa una cosa ai ragazzi: se volete vedermi arrabbiato […] trattate male lo staff, la gente che lavora con me, i magazzinieri, i fisioterapisti, gli autisti.”.
E ha aggiunto, ampliando la sua regola oltre i confini del campo: “Quando andate fuori in albergo e trattate male i camerieri, vorreste che vostro papà, vostra sorella, vostra madre fossero trattati in questa maniera? No. Allora comportatevi correttamente e con rispetto.”.
Ronaldo e Cassano: genio e follia
Il mister non si è sottratto alle domande sui campioni che ha allenato, rivelando scelte difficili e gestioni al limite. Il giocatore con il talento più puro, per sua ammissione, è stato il brasiliano Ronaldo, ma la sua permanenza al Real Madrid fu incompatibile con la necessità di costruire una squadra vincente.


Interpellato su chi fosse il giocatore più forte che avesse mai allenato, ha risposto: “È stato Ronaldo. In Spagna chiamavano il gordo, quello che noi chiamiamo il fenomeno. Però per vincere ho dovuto mandarlo via.” E ha chiosato, parlando del suo passaggio al Milan: “L’ho mandato a Milan perché Berlusconi lo voleva. Gli avevo detto di non prenderlo. Non mi ha dato retta. Poi mi ha dato ragione.”.
Sulla Roma dello Scudetto, il paragone tra le due stelle più lucenti è stato impietoso sulla componente mentale, alla domanda lapidaria di un bambino tra il pubblico : “Alla Roma 2003-2004 era più forte Totti o Cassano? “ La risposta è stata altrettanto diretta: “ Beh, come persona Totti. Come giocatore Cassano aveva qualcosa di più. Però aveva una testa… te lo raccomando! ”. Risate tra il pubblico.
Settore giovanile: l’ostacolo non è in campo
Don Fabio ha poi toccato il tema dei giovani, rievocando l’esperienza formativa da allenatore delle giovanili del Milan, dove ha visto crescere talenti come Maldini, Costacurta e Albertini. “Veder crescere crescere i ragazzi, è una soddisfazione unica: assistere ogni anno alla posa di un mattone, per poi riuscire a veder edificata la loro casa.”.
La vera sfida, tuttavia – ha sottolineato l’allenatore – non è gestire i ragazzi, bensì i loro genitori. “Il problema molte volte sono i genitori: quando i figli sono giovani molti pensano di avere dei fenomeni in casa, mentre dovrebbero comprendere come il vero traguardo sia una vita sportiva, anche quale deterrente dalle tentazioni della strada”.
L’attenzione si è poi spostata sulle difficoltà del calcio italiano, in particolare in relazione alla qualificazione ai Mondiali e allo sviluppo dei giovani talenti. Capello non ha usato mezzi termini nel criticare il sistema di formazione e l’eccessiva imitazione di modelli stranieri.
La colpa, secondo l’ex tecnico, è stata quella di copiare male i modelli fuori dal contesto d’origine: “abbiamo cercato di copiare male Guardiola. Io dico sempre lo dico in televisione, lo dico anche qui: il guardiolismo ci ha danneggiato. Abbiamo perso le nostre caratteristiche.”.
Capello ha poi lanciato un appello ai suoi ex colleghi, sottolineando l’importanza di dare fiducia ai talenti nostrani: “manca il coraggio di far giocare i giovani. In tutta Europa in tutte le grandi squadre ci sono dei giovani debuttanti appena maggiorenni.” L’esempio emblematico è quello dell’italiano Camarda: “ lo mandiamo a Lecce per fargli fare un anno mentre al Milan, non c’è uno che la metta dentro”.
Real Madrid e l’orgoglio italiano
Nel ripercorrere la sua carriera in Italia (Roma, Juventus, Milan), Capello ha evidenziato alcune differenze strutturali tra i grandi club che ha allenato, ma l’esperienza più formativa e prestigiosa a livello internazionale resta quella al Real Madrid, “il non plus ultra dal punto di vista sportivo.”Una realtà dove non solo si deve vincere, ma si deve anche giocare secondo i dettami della casa blanca:“ho vinto ma mi hanno mandato via lo stesso, devi anche giocare come pensano che si debba giocare,” ha detto, ricordando di aver dovuto lasciare il Real la prima volta per tornare da Berlusconi, a cui sentiva di “dovere qualcosa.”.
L’esperienza in Cina è stata breve e dettata da un sacrificio personale. Chiamato per salvare la squadra in retrocessione, Capello ha dato le dimissioni dopo tre partite della stagione successiva. La causa non fu sportiva, ma affettiva: “mia moglie non mi ha seguito in Cina e ogni sera io a mezzanotte le davo la buonanotte, qui in Italia erano le sei, ogni sera erano lacrime… non potevo vederla soffrire così.”.
Nonostante la lunga carriera all’estero, l’ex CT ha voluto rimarcare con emozione il legame indissolubile con la sua terra: “Quando si è all’estero, scatta qualcosa, ci si sente ancora più italiani, è una questione di orgoglio “ e – con una vena di commozione, a suo dire suscitata dall’età – ha puntualizzato “Io quando c’è l’inno italiano mi alzo sempre in piedi, anche se sono in casa.”.
A chiusura del talk, in risposta a una domanda che collegava il titolo dell’evento alla realtà agricola, Capello ha trovato una corrispondenza perfetta: “C’è una grande analogia. E per quanto riguarda il settore giovanile noi abbiamo seminato male in Italia.”.
Ha proseguito spiegando che, come l’agricoltura, il calcio giovanile richiede fasi specifiche: la semina (divertimento dai 7-8 anni), l’irrigazione (insegnare i fondamentali tecnici dai 9-11 anni) e la potatura (introduzione della tattica). “E poi al fine, quando hai 17, 18 anni, aspetti il frutto…”.
L’incontro si è concluso con l’amara riflessione sui social media, il vero nemico invisibile dell’attuale generazione di atleti: “I social sono una cosa che non riesci a gestire. Qualche volta due parole sui social ti possono esaltare e tre mezze parole ti possono deprimere. E quindi è molto difficile.” Un monito che ha chiuso una mattinata ricca di spunti, dove l’ex allenatore ha dimostrato di essere un maestro di vita, ancor prima che di calcio.
(Autore: Francesco Bruni)
(Foto e video: Francesco Bruni)
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