Il provvedimento legislativo sull’intelligenza artificiale mira a tutelare i diritti fondamentali e a vigilare sui rischi economici e sociali derivanti dal suo utilizzo. Dal timore che un uso smisurato dell’IA finisca per sacrificare il nostro pensiero, nasce una lettera-confessione.
Cara IA, finalmente trovo il coraggio di scriverti e raccontarti la mia diffidenza, le mie paure, anche a costo di apparire retrogrado o, peggio, ottuso. Di te si parla molto: si dice che tu migliori il mondo del lavoro e la vita delle persone.
Persino l’Unione Europea, intensificando gli sforzi normativi, ha mostrato grande interesse, consapevole delle rapide e innegabili trasformazioni che stai generando. Anche il nostro Governo ha agito: dal 10.10.2025, la legge delega 132/2025 è entrata in vigore, affiancandosi al regolamento UE 2024/1689, il cosiddetto “AI Act”.
Il provvedimento mira a garantire la vigilanza sui rischi economici, sociali e sull’impatto sui diritti fondamentali. Certo, non si può negare una seria preoccupazione che il tuo utilizzo possa facilmente degenerare in abuso. Per noi professionisti intellettuali, l’art. 13 stabilisce che l’uso dell’IA debba restare strumentale e di supporto: l’attività principale deve rimanere prerogativa del pensiero critico umano. Centrale è anche l’obbligo di informare i clienti, con linguaggio chiaro ed esaustivo, sull’impiego dei sistemi cosiddetti intelligenti. Tutto sembra chiaro: da un lato, l’IA porta benefici in termini di produttività e ottimizzazione; dall’altro, la legge ne disciplina l’uso con attenzione alla trasparenza e alla responsabilità. Eppure, la mia diffidenza persiste. Vedi, cara IA, noi umani conosciamo poco il nostro cervello: prendiamo decisioni affrettate, cadiamo vittime di scorciatoie mentali, ignoriamo le falle della nostra logica. Gli errori si moltiplicano nei nostri uffici, nelle aule di giustizia, negli ospedali. Siamo inclini a ripetere gli sbagli del passato, pronti a eludere le regole che noi stessi abbiamo creato. Il cervello è pigro: riceve milioni di informazioni, ma ne elabora consapevolmente solo una manciata. Per questo chiedere aiuto all’IA diventa quasi naturale. Hai un dubbio? Devi scrivere un atto? Ci pensa lei.
E noi professionisti, spesso decidiamo in automatico: il tempo a disposizione è poco, e i nostri clienti esigono risposte immediate. Parlando di me, ti confesso che, a volte, il mio modo di pensare mi gioca brutti scherzi, nascondendo errori e distorsioni cognitive che mi impediscono di comprendere il mondo. Vivo in una società che ha accumulato enormi conoscenze e tecnologie capaci di risolvere problemi cruciali come la fame nel mondo, il cambiamento climatico, la costruzione di un futuro migliore. Eppure, non ci riusciamo. Anzi, investiamo risorse nella guerra, quindi nella morte, anziché nella vita, e sono molte le occasioni in cui agiamo ai danni della nostra stessa esistenza.
Un altro timore riguarda i dati che ti affiderò: se elaborati individualmente, potrebbero influenzare la conoscenza dei miei comportamenti e avere un impatto devastante persino sul sistema democratico. Vorrei che questi timori fungano da deterrente e mi aiutassero a bussare alla tua porta il meno possibile, consapevole del prezzo da pagare e delle insidie che il tuo aiuto può nascondere. Se ti delegassi ogni compito, rischierei di perdere le mie capacità cognitive, e questo non lo desidero affatto. Sono un professionista, e gran parte del mio lavoro nasce dalla creatività.
Voglio preservare la mia immaginazione, la fantasia, la capacità di riflettere, di agire con consapevolezza.
Non intendo svendere il mio valore intellettuale: voglio difendere la mia mente, capace di simulare scenari, assumersi responsabilità e, se proprio dovessi sbagliare (capita), dire: “Chiedo scusa” che è sempre meglio di “Non è colpa mia, mi sono affidato all’intelligenza artificiale”. Prima di salutarti, ti confido che per me l’acronimo A.I. (artificial Intelligence) significa “appiattimento intellettivo”.
(Autore: Antonio Di Giura – Sistema Ratio)
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