A Vittorio Veneto l’abito nasce davvero in atelier: come cambiano le spose da Le Favole

A Vittorio Veneto, tra le vetrine del centro, c’è un indirizzo che molte future spose conoscono per nome, anche se ci sono arrivate per passaparola. È l’atelier “Le Favole” di Lucia Daniotti, un laboratorio che dal 1983 disegna e cuce abiti da sposa capaci di uscire dalla dimensione “di città” e di arrivare lontano, fino alla Sicilia e al Trentino, proprio grazie ai racconti di chi ci è passata prima.

Lucia tiene a una precisazione che qui fa la differenza: non lo considera un semplice laboratorio artigianale, ma un atelier artistico. Lo capisci appena entri, perché lo spazio è fatto di tessuti, bozzetti e abiti appesi come in un archivio vivo, dove ogni modello porta con sé prove, correzioni e soluzioni pensate per fisicità diverse. E poi c’è la struttura, che non è scontata: in atelier lavorano fino a trentadue sarte, tutte con esperienza, e quando serve riescono a confezionare un abito su misura anche in pochi giorni.

La storia, prima ancora che professionale, è domestica. Lucia racconta di aver iniziato da bambina, guardando la madre con ago e filo e provando a imitarla sulle bambole. Poi sono arrivati corsi, studio, pratica, e il salto alle “taglie vere”. Il sogno era chiaro: cucire a mano abiti importanti. Oggi quel sogno si traduce nel lavoro quotidiano con le spose, accompagnate nella scelta tra modelli disegnati da lei e interventi personalizzati su abiti già esistenti, modificati finché tornano davvero addosso.

Negli anni, però, è cambiato soprattutto il modo in cui le clienti arrivano in atelier. Un tempo, ricorda Lucia, la sposa si affidava più facilmente al parere delle professioniste. Il percorso risultava più lineare e l’abito nasceva passo dopo passo, con una linea armoniosa costruita prova dopo prova. Oggi spesso entra con un piccolo “seguito” di parenti, testimoni e amiche. Il confronto può aiutare, certo, ma a volte finisce per confondere, spostando l’idea iniziale e rendendo la scelta più faticosa.

A cambiare le regole del gioco ci si è messa anche la tecnologia. Tra siti, cataloghi online e social, molte spose arrivano con il telefono pieno di foto: dettagli salvati, collage di scollature, maniche, schiene e gonne viste altrove. La richiesta finale è spesso molto precisa, quasi “da screenshot”. Il punto è che non sempre chi chiede conosce la differenza tra i materiali, né il pregio di una seta rispetto a un’altra, o le caratteristiche reali di un modello quando passa dal video al corpo. Ed è qui che l’atelier torna a fare il suo mestiere: tradurre un’idea in proporzioni, struttura, caduta del tessuto.

C’è anche un cambiamento di atmosfera. Quando le possibilità erano più limitate, la scelta del vestito aveva un sapore più raccolto, quasi domestico. Oggi il rischio, dice Lucia, è che tutto sembri più commerciale. L’obiettivo diventa spesso “non avere lo stesso abito di qualcun’altra”, e si finisce per mescolare elementi visti in giro pur di ottenere qualcosa di unico. In atelier questo si trasforma in una sfida continua: prendere spunti sparsi e ricomporli in un abito coerente, che non sia un collage ma una figura completa.

Nonostante queste trasformazioni, la voglia di disegnare e sperimentare non si è affievolita. Anzi, Lucia racconta che sono proprio le richieste più particolari ad accendere le idee: un colore insolito, un tessuto diverso, una scollatura fuori dagli schemi. Tra i progetti che guarda con interesse c’è anche la vendita online, pensata non come alternativa al lavoro in presenza, ma come possibilità per raggiungere una clientela più lontana, un po’ come succede già con scarpe e accessori.

E qui arriva un dettaglio che spiazza chi immagina solo spose giovanissime. Una parte importante della clientela, infatti, è composta da donne al secondo o terzo “sì”. In questi casi il bianco tradizionale spesso viene lasciato da parte. Si cercano abiti colorati, tonalità che valorizzano età e personalità. Le possibilità creative aumentano: cambiano lunghezze, volumi, palette, e l’abito può avvicinarsi anche a una cerimonia di gala, pur restando dentro il contesto nuziale.

Camminando tra le file di vestiti confezionati, si sente il ritmo di un mestiere che non è mai uguale. Ogni donna entra con una storia, un’idea più o meno definita e qualche insicurezza. Lucia dice che, appena una cliente varca la soglia, nella sua mente inizia già a delinearsi l’abito giusto: il tipo di corpino, l’ampiezza della gonna, il tono del tessuto, quei dettagli piccoli che cambiano l’insieme. La concorrenza è tanta, ma ciò che continua a distinguere questo atelier è la passione per un lavoro meticoloso e la soddisfazione di vedere una sposa riconoscersi nel proprio abito, proprio nel giorno in cui tutto il percorso trova compimento.

(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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