In via di principio, e molto diffuso, è il “dolus bonus”, ossia il dolo consentito quale tollerabile abilità negli affari. Si identifica come quel tipo di inganno, normalmente sopportato nella vita economica, perché sostanzialmente innocuo e consistente nel bonario millantare della propria merce o dei propri servizi. Si tratta di un’espressione di origine giurisprudenziale fondata sulla convinzione che la pubblicità sia una forma di comunicazione di per sé ingannevole, ma comunque inidonea a illudere un pubblico consapevole della sua “non corrispondenza” di fondo.
In pratica, si ritaglia un suo spazio in un ambito preciso, quello delle trattative negoziali e del marketing, su modesta e vasta scala, in qualche modo ammettendo che forme larvate, diminutive, non proprio pertinenti e congrue di verità siano ormai prassi comune e accettata in campo commerciale.
Si tratta di una sorta di pubblica ammissione, accettata in linea generale, del fatto che le “non verità”, forse anche alcune “bugie”, possono entrare nella vita delle persone e delle comunità in relazione alla compravendita di beni e servizi, con un impatto tutto sommato accettabile, una volta che l’acquirente sia messo nella condizione di avere comunque gli strumenti per una valutazione comparativa appropriata fra le varie proposte che giungono dai produttori.
In una società come la nostra, dunque, molto sbilanciata proprio intorno alle dinamiche del consumismo, questo “dolus bonus” è entrato ormai di fatto nei costumi che regolano una serie ampia di rapporti sociali in chiave economica, e le piccole grandi “non verità” costruite per favorire i processi di vendita sono ormai in qualche modo accettate, fanno parte del sistema, alimentano i processi consueti del marketing, più o meno aggressivo, a patto che non conducano a forme inaccettabili di “pubblicità ingannevole”.
Le “bugie”, dunque, non sono mai gradite, rischiano di generare effetti sfavorevoli, di creare illusioni, di dar corso a processi alterati rispetto alla sostanza veritiera dei fenomeni. E lo sono in particolare quando recitano purtroppo una parte importante, da protagonista, nei rapporti quotidiani fra le persone, nelle relazioni umane che hanno valore e sostanza, nelle corrispondenze di vario segno che dovrebbero invece essere improntate a serietà, conformità e correttezza.
E’ vero, disturbano le bugie, e soprattutto fanno danni seri coloro che le mettono in pratica quasi con naturalezza, senza tenere in conto le conseguenze di questo loro comportamento. Passi per quelle “mezze verità” che vanno in abbinata con la tendenza di più di qualcuno a esagerare nei racconti, a eccedere con la descrizione delle proprie bravure, a enfatizzare la bellezza delle proprie virtù, a mettere in luce in maniera inappropriata o inopportuna l’unicità dei propri traguardi e delle proprie conquiste. Ci può stare: ciò fa parte di quella attitudine “creativa” che è inscindibile dal modo di essere e dallo stile di diverse persone, che trovano soddisfazione soltanto nel saper raccontare al prossimo cose propriamente non del tutto vere, tradendo un’autostima davvero importante e manifestando la volontà di apparire agli occhi degli altri più grandi, più alti, più rilevanti. Sono atteggiamenti narcisistici, tanto ambiziosi, che possono disturbare, sicuramente non piacere? Certamente, ma nel quadro più generale possono essere ancora considerati veniali, alterazioni della verità in fondo ingenue, rappresentazioni di se stessi e delle proprie opere di certo non vere, ma tutto sommato non gravi, inoffensive, correndo il rischio di essere a volte anche simpatiche, perché istrioniche, e perché coltivano il gusto dell’eccesso, quasi in maniera teatrale.
Ben altre considerazioni meritano invece le bugie che diventano espressione di sentimenti profondi dell’animo, di un approccio alla vita, di una dimensione interiore che vuole narrare altro da sé, per le motivazioni più varie, e non fare i conti con la verità delle cose, specialmente quando queste sono scomode, e non recano vantaggi o soddisfazioni autoreferenziali ed egoistiche.
Qualcuno dirà che le bugie fanno parte integrante della vita, al pari della verità. E che ci sono molte persone abituate a non raccontare in maniera precisa, esatta, conforme, quello che entra a far parte della loro esistenza, in proiezione esterna, avendo la precisa consapevolezza di mentire. Inutile dire i danni, le conseguenze negative, gli effetti di sfiducia e di distanza fra gli individui che questi atteggiamenti provocano, perché vanno a intaccare alla radice il portato di stima e di affidamento che dovrebbe nutrire queste relazioni interpersonali e sociali.
Con una sottolineatura importante: come ha evidenziato qualcuno, il paradosso è che la prima vittima del bugiardo è proprio se stesso, perché più si mente e più si deve ricordare la costruzione delle menzogne. E nel caso in cui la memoria di chi racconta bugie facesse brutti scherzi, è chiaro che tutto verrebbe svelato alla luce del sole, in maniera imbarazzante.
Meglio pensarci bene, prima di narrare mezze verità, o dire cose non corrispondenti all’effettività del reale, anche solo per evitare situazioni spiacevoli, punizioni, rappresaglie o discussioni estenuanti.
Abituarsi a condividere la nostra esistenza senza bugie, con naturale amore alla verità, qualunque essa sia, non è solo bello per l’etica e l’amicizia, ma è pure conveniente per il rispetto dovuto primariamente a noi stessi, e insieme a quanti vivono accanto a noi.
(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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