La violenza giovanile non è un’emergenza improvvisa, ma il sintomo di un disagio profondo che attraversa i territori, acuitosi dopo la pandemia. È da questa convinzione che prende le mosse l’intervento di Rossella Cendron, consigliera regionale eletta con Le Civiche Venete e sindaca di Silea da otto anni, intervenuta dopo i recenti episodi di violenza avvenuti a Treviso.
“La testimonianza e l’indignazione – sottolinea – devono diventare azioni strutturate e responsabilità istituzionali condivise. Non possiamo intervenire solo quando si arriva al reato: dobbiamo agire prima”.
Nel suo intervento, la consigliera regionale ha richiamato l’esperienza maturata come amministratrice locale a Silea, dove già nel luglio 2024 il Comune ha promosso un confronto allargato con tutte le principali agenzie educative e istituzioni del territorio, dando vita a quelli che sono stati definiti gli “Stati generali del disagio giovanile”. Un tavolo che ha coinvolto Ulss, servizi sociali e sanitari, forze dell’ordine, parrocchie, associazioni, cooperative educative e volontariato.
“I sindaci – spiega – non hanno strumenti repressivi, ma possono e devono investire sulla prevenzione: spazi per i giovani, educatori di strada, educative domiciliari, sport e socialità”. A Silea, ricorda Cendron, il Comune sostiene concretamente l’attività sportiva con un contributo di 200 euro annui per ogni ragazzo e ragazza dai 6 ai 18 anni che pratica sport in modo continuativo, considerato un presidio educativo e comunitario.
Secondo la consigliera, uno dei problemi più gravi è lo spazio di impunità in cui molti minori finiscono per muoversi: vittime e autori di violenze condividono gli stessi luoghi – scuole, oratori, mezzi pubblici, spazi di aggregazione – alimentando paura, silenzio e una pericolosa percezione di onnipotenza. “Le famiglie delle vittime – afferma – si sentono spesso sole e abbandonate”.
Da qui la richiesta di un cambio di passo anche a livello regionale, con strumenti normativi nuovi e adeguati ai cambiamenti in atto. “Le casistiche di oggi non sono più quelle di cinque o dieci anni fa – osserva – ed è necessario prevedere interventi educativi obbligatori, inserimenti mirati in comunità adeguate e investimenti nella formazione di educatori specializzati”.
Il passaggio più delicato riguarda però i minori che entrano già nel circuito penale. “Per i ragazzi che scontano una misura detentiva nel carcere minorile – conclude Cendron – servono accordi strutturati tra istituzioni, carcere e associazioni del territorio. Senza percorsi educativi e di responsabilizzazione, il rischio è che il carcere diventi una palestra di devianza tra pari, anziché un’occasione di recupero e di costruzione di alternative reali”.
Un appello, infine, alla Regione affinché si apra un tavolo trasversale sul disagio giovanile, capace di superare le logiche di schieramento e di non lasciare soli né gli amministratori locali né le famiglie.
(Autore: Redazione Qdpnews.it)
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