LegalMente. Risarcimenti a seguito di un danno cagionato da una cosa in custodia

L’avvocato Gabriele Traina

Proseguono gli approfondimenti di Qdpnews.it su Leggi e Codici che regolano il nostro ordinamento, in collaborazione con gli avvocati Gabriele Traina e Alessandro Pierobon. Buona lettura.

Cosa succede quando a seguito di una caduta dovuta ad una buca stradale oppure allo sgretolamento di un marciapiede si riportino dei danni, chi risponde di tali danni?

Si tratta questo argomento perché a volte anche nelle riviste di settore appaiono dei titoli che possono a prima vista essere fuorvianti.

Cercheremo ora di capire a chi vada rivolta la domanda risarcitoria e cosa si debba provare o meglio in quest’ultimo caso, previsto dall’art. 2051 codice civile, come si ripartisca il cosiddetto onere probatorio.

Si fa riferimento in questi casi alla responsabilità per danni da cose in custodia, ovvero sarà il soggetto che custodisce o meglio esercita un potere effettivo sulla cosa a dover risarcire il danno qualora ricorrano due circostanze: la prima è che deve sussistere un’effettiva relazione di custodia tra la cosa e il soggetto presunto responsabile della custodia; la seconda è che deve sussistere il nesso di causalità tra la cosa e l’evento dannoso. Si parla anche di responsabilità oggettiva. 

Quindi colui che ha subito il danno perché ad esempio caduto dallo scooter per la presenza di una buca sulla strada oppure chi a sua volta è caduto perché percorrendo un marciapiede quest’ultimo si è sgretolato, il malcapitato dovrà fornire la prova del rapporto di custodia (chi sia il custode), ovvero di signoria sulla cosa e al contempo la prova dell’esistenza del danno derivante dalla cosa in custodia.

Normalmente questi casi riguardano gli Enti territoriali, come il Comune.

Come potrà difendersi il proprietario della strada o custode della stessa per la tratta che lo interessa? Solo fornendo la cosiddetta prova liberatoria, ovvero invocare il caso fortuito, inteso come fattore esterno, eccezionale ed imprevedibile interruttivo del nesso di causalità tra danno e cosa che può essere ritrovato anche nel comportamento colposo dello stesso danneggiato.

Quello che più interessa è che il custode della cosa, nel difendersi, non può chiedere al danneggiato di provare lui stesso l’assenza di colpa nella causazione del sinistro, in quanto in base all’articolo 2051 del codice civile che appunto concerne la responsabilità per danni da cosa custodi, è chiaro, come più volte ribadito anche negli ultimi tempi dalla Corte di Cassazione, che il soggetto danneggiato e richiedente il risarcimento ha l’onere di provare soltanto la derivazione del danno dalla cosa e la custodia della stessa da parte del preteso responsabile, e non pure l’assenza di colpa né relazionarsi alla cosa.

Un caso analizzato riguardava un motociclista che imbattutosi in una buca stradale aveva perso l’equilibrio, era stato sbalzato dal ciclomotore e purtroppo aveva perso la vita. La corte di Cassazione, intervenuta sulla questione, considerato che i giudici di primo e secondo grado avevano respinto la richiesta risarcitoria avanzata dagli eredi del danneggiato, a sua volta invece accoglieva il ricorso degli stessi e testualmente affermava che i giudici di primo e secondo grado avevano errato gravemente avendo addebitato agli eredi che avevano richiesto il risarcimento ai sensi dell’articolo 2051 c.c., un onere probatorio gravante invece sul custode.

I giudici di merito avevano affermato che a fronte delle condizioni di luogo (strada percorsa di notte e con forte vento) non avessero fornito alcun elemento idoneo a provare la condotta di guida diligente e prudente. Il principio distributivo dell’onere probatorio è stato frainteso dai giudici di primo grado in quanto il principio che vige è il seguente: in materia di responsabilità ex articolo 2051 codice civile, a carico del soggetto danneggiato sussiste l’onere di provare soltanto la derivazione del danno dalla cosa e la custodia della stessa da parte del preteso responsabile, non pure la propria assenza di colpa nel relazionarsi con essa.

Le corti di merito avevano respinto la domanda del risarcimento, ritenendo raggiunta la prova dell’interruzione del nesso causale tra l’insidia, cioè la buca, e la caduta dannosa in quanto il fatto dannoso sarebbe derivato da un dato dall’eccezionalità della situazione metereologica e dall’altro dalla mancata prova del rispetto delle regole relative alla circolazione stradale da parte del conducente il quale, secondo i giudici di primo e secondo grado, a fronte delle condizioni di luogo – strada percorsa di notte e con forte vento – non avrebbe fornito alcun elemento idoneo a provare la condotta di guida diligente e prudente.

Il principio cardine in materia di danni derivanti da cose in custodia, invece, consiste nel fatto che gli elementi accertati nell’istruttoria processuale non devono essere orientati alla valutazione della condotta della vittima rispetto a un obbligo generale di diligenza e prudenza, in quanto nell’ipotesi dell’articolo 2051 non è il soggetto danneggiato a dover provare la diligenza e prudenza, ossia la sua assenza di colpa nel relazionarsi con la cosa, in quanto l’articolo 2051 non richiede questo elemento e nemmeno può sostenersi che il caso fortuito che esclude l’applicazione dell’articolo 2051 C.C. fossero le condizioni metereologiche caratterizzanti lo stato dei luoghi.

Questi elementi, al contrario, devono essere valutati alla stregua di fatti oggettivi in grado di per sé di costituire elemento liberatorio della colpa presunta in capo al custode e quindi trovare ingresso nella motivazione del giudice alla stregua di quel fattore causale esclusivo idoneo ad interrompere al di là della condotta della vittima il nesso causale fra insidia, che costituisce quindi la colpa del custode, e la dinamica di danno fatto oggetto della richiesta risarcitoria poiché per caso fortuito, cioè quell’elemento che può liberare il custode da una responsabilità oggettiva o presunta, è rappresentato da un fatto naturale o anche un’azione posta in essere da un altro soggetto che abbia una rilevanza causale così importante sull’accadimento da escludere la colpa per il custode, pur in presenza di un’anomalia potenzialmente pericolosa superando gli oneri gravosi di cura diligente del bene oggetto del proprio dominio.

Potremmo concludere dicendo che la convivenza sociale sussiste nell’obbligo di rendere il bene custodito sicuro per la collettività, mentre l’utente deve riporre nella propria condotta attenzione e prudenza.

Poiché anche il comportamento del danneggiato all’interno della fattispecie di cui all’articolo 2051 c.c. può avere un ruolo diverso, si tratta di capire quando può rilevare tale condotta come concorso di responsabilità, il che comporta una riduzione di risarcimento, nel senso che c’è una riduzione proporzionale della responsabilità del custode ma può anche rilevare come caso fortuito, cioè come fattore che libera completamente la responsabilità del custode.

Il comportamento colposo del danneggiato integra caso fortuito, ad esempio quando all’uscita dall’ascensore condominiale un soggetto inciampando sul dislivello formatosi tra il pavimento della cabina dell’ascensore e quello del piano di arresto, cadendo si era procurato delle lesioni personali.

In questo caso l’esclusione della responsabilità del custode derivava da un duplice accertamento che riguardava:

  1. da un lato la condotta negligente della vittima;
  2. l’imprevedibilità di tale condotta. 

In questo caso esemplificato, la condotta della vittima può dirsi imprevedibile quando sia stata eccezionale, mai avvenuta prima ed inattesa da una persona sensata. Quindi quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficacia causale del comportamento imprudente del medesimo.

Quindi nella causazione del danno la condotta può incidere fino al punto da rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso quando lo stesso comportamento, benché prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio di regolarità causale.

Ricapitolando, chi chiede il risarcimento al custode della cosa non è tenuto a provare l’assenza della sua colpa in quanto questa, quale caso fortuito, dovrà essere provata dal custode.

(Autore: Avvocato Gabriele Traina) 
(Foto e video: Mihaela Condurache)
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