È stato Carlo Cottarelli a concludere la terza edizione della rassegna “Incontri & Racconti”, appuntamento culturale ideato e moderato da Adriana Rasera e promosso dall’amministrazione comunale.
Economista di spicco e direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica, Cottarelli ha presentato il suo ultimo libro Senza giri di parole. La verità sulle sfide economiche e sociali del nostro futuro, offrendo al pubblico una riflessione lucida e accessibile sulle tensioni geopolitiche, la debolezza dell’Europa, il ruolo delle Big Tech e le incognite dell’intelligenza artificiale.
Una serata ricca di contenuti, che ha segnato la degna conclusione di una stagione straordinaria per la rassegna, come sottolineato anche dal sindaco Mattia Perencin: “Con Cottarelli abbiamo chiuso in bellezza. È stato un appuntamento imperdibile, per la competenza dell’ospite e per l’urgenza dei temi trattati”.
Tra tutte le tematiche affrontate dal libro la prima ad emergere è stata quella legata ai conflitti internazionali. Quando il libro è andato in stampa, i focolai principali erano due – Ucraina e Gaza – ma nel frattempo ne è scoppiato un terzo.
Cottarelli parte da un’analisi storica e sistemica: “I conflitti fanno parte della storia, ma oggi dietro a quelli in corso – come l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – si nasconde un cambiamento globale profondo. Non esiste più un’unica superpotenza egemone, come lo sono stati per decenni gli Stati Uniti. Oggi ce ne sono almeno due: gli USA e la Cina”.
La Cina, ha spiegato l’economista, è la vera novità del XXI secolo. Quarant’anni fa rappresentava appena il 2% del PIL mondiale. Oggi, grazie agli effetti della globalizzazione, è diventata la prima potenza economica al mondo per volume di produzione, superando gli USA del 25%, con punte del 27% nel 2024.


In certi settori strategici, come il manifatturiero o l’acciaio, la superiorità cinese è ancora più marcata: “La Cina produce il 54% dell’acciaio mondiale, contro il 4,5% degli Stati Uniti. Nel campo delle terre rare raffinate – fondamentali per le tecnologie moderne – la Cina ha un monopolio pressoché totale, con il 90% della produzione”.
Anche se in settori come l’intelligenza artificiale e la difesa militare gli Stati Uniti conservano ancora un vantaggio (con investimenti doppi rispetto alla Cina e un arsenale nucleare molto più ampio), l’equilibrio è precario. Cottarelli ricorda che anche la Cina prevede di raddoppiare le sue testate nucleari entro il 2030, portandole a mille.
“Il vero nodo – ha sottolineato – è che la rivalità economica può facilmente sfociare in un conflitto politico o militare, come insegna la storia: Sparta temeva l’ascesa di Atene; la Germania superava economicamente la Gran Bretagna prima della Prima guerra mondiale”.
La storia degli incidenti nucleari ci ricorda quanto possa essere labile l’equilibrio delle armi. Cottarelli ha citato un episodio poco noto del 1962, durante la crisi di Cuba. In quel periodo, aerei americani armati di bombe nucleari sorvolavano costantemente il territorio nazionale per essere pronti a un eventuale attacco sovietico. Uno di questi bombardieri, sorvolando la Carolina del Sud, perse per errore due ordigni nucleari, ciascuno con una potenza 250 volte superiore a quella di Hiroshima. “Una delle due bombe si impantanò e non si innescò. L’altra restò appesa a un albero: tre su quattro dei meccanismi di sicurezza non avevano funzionato. Solo il quarto impedì l’esplosione. Un soffio dal disastro”.
Da un lato, il Professore ha criticato il riarmo totale inteso come unica forma di deterrenza; dall’altro, prende le distanze dal pacifismo assoluto. E riguardo alla massima latina Si vis pacem, para bellum, al centro delle cronaca politica di questi giorni, ha puntualizzato: “Anche nell’antica Roma, dove questo motto era nato, il Tempio di Giano era sempre aperto: si faceva guerra in continuazione”.
Secondo Cottarelli, armarsi indiscriminatamente può avere effetti opposti a quelli desiderati: “Può innescare corse agli armamenti, alimentare sospetti, e persino far pensare che convenga attaccare per primi”. Un esempio su tutti: l’Iraq. “La guerra è stata giustificata dalla presunta presenza di armi di distruzione di massa, che poi non c’erano. Il risultato? 600mila morti”.
Il nodo fondamentale – ha affermato Cottarelli – è che la Cina è un Paese, l’Europa no. Quando si tratta di prendere decisioni importanti, specialmente in politica estera, l’Unione Europea si blocca. C’è il diritto di veto: basta un solo Paese per impedire decisioni comuni. Di fronte a questa paralisi, la soluzione più semplice è seguire gli Stati Uniti, ma questo ci rende deboli nei tavoli che contano davvero, come si è visto anche nella crisi ucraina o nel confronto con la Cina.
Attualmente il bilancio europeo è l’1% del PIL dell’Unione, mentre ad esempio quello italiano è pari al 50% del PIL nazionale. Senza risorse e potere decisionale centralizzato, l’Europa non può agire come un vero attore globale.
Ma perché queste riforme non si fanno? Per un motivo molto semplice: secondo il Professore non ci sentiamo abbastanza europei. C’è un deficit identitario profondo. Continuiamo a pensarci come italiani, tedeschi, francesi… L’Europa resta una costruzione esterna, lontana. Questo riflesso emerge anche nei piccoli episodi quotidiani.
A tal proposito l’autore ha raccontato un simpatico episodio personale: dopo una conferenza a Vicenza, doveva raggiungere Bolzano. L’autista che lo accompagnava, trovandosi in difficoltà a localizzare l’albergo, chiamò la reception e poi, infastidito, sbottò: “Però questi crucchi sono proprio duri…”. Una volta arrivati a destinazione, la sconvolgente scoperta: l’addetto alla reception non era tedesco, bensì indiano. Tuttavia, per l’autista, il fatto che fosse “duro di comprendonio” bastava per dargli l’etichetta di “tedesco”. È il riflesso automatico di schemi mentali antichi, radicati in secoli di divisioni.
Tra i temi più sentiti, anche quello del cambiamento climatico. “Siamo in ritardo, troppo in ritardo”, ammette Cottarelli con una punta di amarezza. Gli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015 – azzerare le emissioni di CO₂ entro il 2050 – sembrano oggi lontani. I Paesi più ricchi stanno riducendo le proprie emissioni, ma l’aumento in quelli emergenti – Cina e India in primis – sta annullando ogni progresso.
“È vero, loro emettono di più oggi, – ha osservato – ma noi abbiamo emesso di più per un secolo, arricchendoci a spese dell’ambiente. Loro dicono: ‘Ora tocca a noi’. E in effetti, un indiano medio emette un settimo rispetto a un americano. Il problema è globale, ma la volontà di affrontarlo è ancora troppo debole”.
Dei principali otto Paesi inquinatori, solo il Giappone ha un piano credibile per arrivare a zero emissioni entro il 2050. Gli altri – Cina, India, Iran, persino gli Stati Uniti – hanno posticipato o abbandonato gli obiettivi. E così, anche tra i movimenti ambientalisti, si sta passando dalla mitigation (contenimento del riscaldamento) alla adaptation (adattamento a un mondo più caldo). Le tecnologie per rimuovere CO₂ esistono, ma sono ancora troppo costose. Senza innovazioni decisive, bisognerà convivere con il cambiamento.
Riguardo le soluzioni ai numerosi problemi sollevati Cottarelli è perentorio : non possiamo rispondere con il fatalismo o l’illusione che esistano scorciatoie. “Il primo passo per risolvere un problema è riconoscerlo. E affrontarlo con responsabilità. Se aspettiamo che arrivi la bacchetta magica, ci estingueremo per mancanza di volontà, non per mancanza di soluzioni”.
E ai pessimisti seriali, Cottarelli ricorda le difficoltà ben più grandi affrontate da chi ci ha preceduto: “Nel 1925 era finita da poco la Prima guerra mondiale. Sei mesi dopo sarebbero entrate in vigore le leggi fasciste. E poi la Seconda guerra mondiale, le distruzioni, la fame. Eppure, da tutto questo, è nata la ricostruzione economica italiana. I nostri nonni non si sono fermati a piangere: si sono rimboccati le maniche”.
Oggi non possiamo fare diversamente. Le sfide sono tante e complesse, ma è proprio nei momenti difficili che bisogna agire. Senza scorciatoie, senza lamentele. Con lucidità, determinazione e – perché no – anche un po’ di fiducia.
(Autore: Francesco Bruni)
(Foto: Francesco Bruni)
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