La storia di Teresa De Luca, la sarta dei partigiani: “Ricordo tutto come fosse ieri”

Nella foto a sinistra, Teresa De Luca ai tempi della Resistenza. Nell'immagine a destra, foto di un gruppo di partigiani (Teresa De Luca è la seconda da sinistra, inginocchiata)
Nella foto a sinistra, Teresa De Luca ai tempi della Resistenza. Nell’immagine a destra, foto di un gruppo di partigiani (Teresa De Luca è la seconda da sinistra, inginocchiata)

Ci sono storie che, solo a sentirle, sembrano essere quasi irreali, frutto di un tempo lontano. Pensiamo che sia impossibile che siano realmente accadute o che ci sia qualche aspetto frutto della fantasia.

Invece si tratta di vicende di vita vera: è il caso della storia personale di Teresa De Luca, ex partigiana e sarta dei combattenti della Resistenza che, lo scorso 30 giugno, proprio nel giorno del suo 100esimo compleanno, ha ricevuto la cittadinanza onoraria dal Comune di Revine Lago, suo luogo di origine.

Attualmente residente a Radicondoli (in provincia di Siena) con la famiglia, ha fatto ritorno nella sua Revine Lago, dove è rimasta per circa un mese e, proprio lì, ha voluto raccontare la storia di quegli anni così oscuri, dove era necessario mettere in campo ingegno e astuzia, per affrontare una quotidianità difficile.

Nata a Formeniga (Vittorio Veneto) il 30 giugno 1925, Teresa De Luca visse con la madre (rimasta vedova prematuramente, con l’impegno di pensare al futuro di sei figli) a Revine (frazione del Comune di Revine Lago), fino all’età di 10 anni.

Poi venne mandata a Milano, affrontando quello che all’epoca era “un viaggio infinito da Conegliano”, per aiutare una zia materna, custode di una palazzina, rimasta ferita da un tram: lì una Teresa bambina si occupò della pulizia dello stabile e, al tempo stesso, ebbe la possibilità di imparare il lavoro di sarta.

Con l’arrivo del Secondo conflitto mondiale, i bombardamenti e la minaccia nazifascista, un bombardamento inglese fece esplodere il portone della palazzina a fianco di quella in cui abitava Teresa De Luca, provocando la morte di una ragazza.

La madre decise quindi di far rientrare a casa la figlia: il ritorno di Teresa a Revine (nella casa natale vicino all’oratorio di San Francesco di Paola) avvenne così l’8 gennaio 1944, dove rimase fino alla conclusione della guerra.

E proprio a Revine, aiutò la Brigata Tollot, come staffetta (ad esempio per la diffusione di volantini) e il confezionamento di abiti necessari ai partigiani, per affrontare il freddo della montagna, dove in quei tempi erano costretti a nascondersi.

Finito l’incubo bellico, fece ritorno a Milano e nel 1947 si sposò con un uomo originario della frazione di Revine, con il quale costruì la propria famiglia.

Una storia che la signora Teresa, con una fervida memoria e con una forza che ogni giorno la spinge a voler pulire due piani di casa, ha voluto raccontare.

“Mi piaceva tanto leggere e scrivere: scrivevo molte lettere e cartoline. Oggi ricordo tutto, ogni parola e quello che è successo. Il mio segreto di longevità? Ho lavorato tanto“, ha assicurato la centenaria.

Da sinistra, Teresa De Luca, il sindaco di Revine Lago Massimo Magagnin e Annia Casagrande, una delle figlie della signora

Il racconto di Teresa De Luca

Sono stata staffetta e sarta per i partigiani. Tutto è iniziato perché mio fratello mi raccontava ciò che succedeva e io volevo vedere quello che accadeva – così ha iniziato il racconto Teresa De Luca – Dopo l’8 settembre 1943 dovetti andare a prendere mio fratello minore, Gianni, che si trovava sulle montagne della zona di Cuneo. Un altro fratello, Lino, si trovava invece in Germania, dove lavorava alla Todt (ente di costruzioni che, durante il Secondo conflitto mondiale, arrivò a impiegare al lavoro coatto più di un milione e mezzo di persone, ndr): fortunatamente non venne maltrattato, ma riuscì comunque a scappare”.

Per andare a prendere il fratello Gianni, la signora Teresa partì insieme a un’amica, entrambe provviste di documenti falsi.

“Anche la mia amica doveva andare a riprendere il fratello. Sulla strada del ritorno con i fratelli, fummo fermati dai tedeschi a Verona: noi donne facemmo finta di essere in compagnia dei nostri fidanzati e, così, potemmo passare – ha proseguito il racconto – A quei tempi avevo molta paura, ma andavo avanti perché nella Resistenza c’era mio fratello. Una sera ricordo che con una mia amica stavamo andando a portare i vestiti per i partigiani e due tedeschi ci bloccarono, chiedendo dove stessimo andando e noi rispondemmo: ‘A passeggio'”.

“Ricordo tutti i pacchi di vestiti che portavamo in montagna, che preparavo con il materiale rubato ai tedeschi: i partigiani della Brigata Tollot avevano sequestrato un loro camion e, così, avevano trafugato diverse cose che, poi, io riutilizzavo per fare questi vestiti – ha proseguito Teresa De Luca – In quegli anni in cui ero tornata a Revine Lago, facevo la sarta e avevo tre ragazzine con me, dai 10 ai 12 anni, che dovevano imparare il mestiere: a loro avevo spiegato tutto, anche come nascondere i tessuti rubati nel caso dell’arrivo dei tedeschi”.

E arrivò quel giorno in cui dei soldati tedeschi bussarono alla sua porta: “Arrivarono questi soldati, perché volevano farsi stringere i calzoni alla sciatora – ha spiegato – Io nascosi velocemente le loro stoffe e feci questo lavoro richiesto. Il giorno seguente un altro soldato arrivò, con la stessa richiesta. Eseguii il lavoro ma, quando mi chiesero qual era il conto da saldare, risposi che non volevo i loro soldi: avevo fretta che se ne andassero. Nel frattempo, in uno dei giorni in cui c’erano questi soldati, arrivò mio fratello partigiano dalla montagna: dicemmo loro che lavorava alla Todt e vidi che, durante un momento di distrazione dei soldati, lui nascose una pistola in un cassetto della credenza. Poi, come nulla fosse, continuò a parlare e addirittura offrì loro una sigaretta. Quando se ne andarono mi girai e gli dissi: ‘Se ti scoprivano con quel gesto? Volevi farti tagliare la testa?’. Meno male che non si presentarono altri soldati per farsi sistemare i pantaloni”.

Vestiti che preparava ogni giorno, invece, per i combattenti della Resistenza: “Tutto andava bene, bastava portare ciò che serviva in montagna”, ha detto.

Momenti di paura che, nonostante l’età longeva, la signora Teresa racconta con perfetta lucidità, mentre riguarda alcune sue foto del passato, tra cui una in cui imbracciava la mitraglietta: non usò mai le armi, ma i partigiani le scattarono quella foto con l’arma, perché il soprannome che le avevano dato era proprio quello di “Mitraglia”, in quanto parlava molto e velocemente.

“Ricordo tutto come se fosse accaduto ieri, non dimentico: l’allarme che suonava e la corsa, anche a Milano, nelle cantine sporche e di certo non pulite come lo sono oggi. Io volevo andare al confine con la Svizzera, ma mia madre non volle e mi richiamò a Revine Lago – ha proseguito – Una mattina ricordo che stavo portando a riparare la macchina da cucire, che era la mia principale fonte di reddito, ma sentii un rumore forte di passi: quel ‘pum-pum’ era dei tedeschi, che ancora adesso ricordo bene e indicava che stavano chiaramente arrivando per fare dei rastrellamenti. Ricordo che gettai a terra quella macchina da cucire così importante per me (poi, in un secondo momento, la recuperai) e tornai indietro di corsa, avvisando i miei compaesani. Di quegli anni ricordo anche gli amici uccisi e i soldati tedeschi che, trionfanti, giravano in paese con le loro scarpe in spalla“.

Soldati tedeschi che, oltre a mettere in atto i rastrellamenti, bruciavano anche le case.

“Facevano dei segni sui balconi delle abitazioni che volevano distruggere. Arrivarono anche a casa mia e dissero: ‘Noi bruciare questa casa’. Mi venne in mente che mi ero fatta dare da una mia cugina una foto, che un soldato tedesco aveva voluto farsi fare insieme a lei. Feci credere ai soldati tedeschi che quella casa era proprio di mia cugina e che era la fidanzata di uno di loro (ovviamente non era vero) e risparmiarono la mia abitazione. Altre 39 abitazioni, invece, vennero bruciate – ha raccontato – La guerra era una cosa maledetta, dovevamo stare attenti ogni giorno, perché i tedeschi erano qui, in paese. C’era poi la borsa nera, che era carissima: una volta dovetti dare via diverse lenzuola e un paio di scarpette di camoscio a cui ero affezionata, per del sale, un po’ di formaggio e del burro. Se ne approfittavano. Un’altra volta dovetti andare fino a Trieste in bicicletta, per riuscire a trovare del sale: qui non se ne trovava”.

Ricordi che riaffiorano anche ogni volta in cui la signora Teresa sente parlare della Resistenza o guarda un film sulla tematica.

“I film mi fanno ricordare tutto quello che è successo e tutta la paura che ho sopportato – ha spiegato – In quegli anni c’ero io e poi c’erano le combattenti che stavano in montagna, come Annarosa, madrina di una delle mie figlie (alla quale si ispira il volume ‘Annarosa non muore’, scritto da Giovanni Melanco, ndr)”.

E qual è il messaggio che Teresa vuole lasciare alle nuove generazioni?

“I giovani devono ricordare che oggi crescono in una condizione dove hanno tutto e non hanno più bisogno di nulla. Un tempo non era così: se oggi i genitori pensano a mantenerli in una situazione di comodità, una volta era molto diverso e a dieci anni già bisognava lavorare. Mamma mia, quanto abbiamo lavorato!”, ha concluso.

(Autore: Arianna Ceschin)
(Foto: per gentile concessione di Ivan Bernardi – Arianna Ceschin)
(Articolo e foto attuale di proprietà di Dplay Srl)
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