“Non ti scordar di me”: l’amore diventa memoria. L’esordio letterario del sindaco Marin

Ci sono storie personali di dolore e affetto che, attraverso la condivisione, superano la dimensione individuale per diventare una forma di conforto collettivo. È il caso di Non ti scordar di me. Parliamo io e te, mamma, esordio letterario del giovane sindaco di San Zenone degli Ezzelini Fabio Marin, presentato martedì 27 maggio al Centro Polivalente La Roggia, davanti a un pubblico partecipe e commosso.

La sala si è riempita di amici, cittadini e volti noti, accorsi per ascoltare la cronaca intima – e al tempo stesso universale – di un figlio che accompagna la madre nel percorso dell’Alzheimer. La stessa vicenda che nel 2021 aveva già ispirato l’omonimo cortometraggio pluripremiato. Si tratta di un debutto, sì, ma anche della continuazione di una storia d’amore.

La presentazione è partita da un’immagine: sullo sfondo, per tutta la durata dell’incontro, campeggiava una fotografia che ha guidato tutta la stesura del libro. Gilda, elegante e sorridente, stringe in braccio il figlio neonato nel giorno del battesimo. «Tutto inizia così – ha spiegato l’autore indicando lo scatto – ho raccolto i pensieri di tanti anni, gli appunti presi mentre la malattia avanzava, e li ho messi in ordine per continuare a parlarne. Perché di Alzheimer bisogna parlare».

Accanto a lui, a condurre la conversazione, Debora Bertocco ha raccontato il proprio lavoro di revisione del manoscritto: «È riduttivo dire che questo è un libro sull’Alzheimer. È un libro sull’amore incondizionato, sulla famiglia. Chi non ha vissuto la malattia in prima persona dovrebbe leggerlo proprio per capirne la portata emotiva».

Il libro, ha ricordato Marin, è nato nel silenzio delle notti: «Non riuscivo a dormire, allora scrivevo. Scrivevo per liberarmi, per capire, per sopravvivere. Ogni parola mi aiutava a mettere ordine nel caos».

Chi ha vissuto o sta vivendo un’esperienza simile sa che non bastano le definizioni cliniche. Serve comprensione, ascolto, supporto umano. Marin l’ha cercato, l’ha chiesto, e oggi lo testimonia con generosità.

Il pubblico ascolta in silenzio mentre l’autore confessa la propria timidezza:

«L’emozione c’è, l’avete vista. C’è meno coraggio, forse. Ma questo viaggio andava fatto, per me e per le altre famiglie».

A dare corpo all’intimità del racconto sono state le letture di Anita Pellizzari. Tra una pagina e l’altra restituisce la confusione di Gilda nei primi sintomi:

«Mamma, dove sono le mie cose?… Hai lasciato il forno acceso?»

Le parole vibrano in sala come un ricordo condiviso; qualcuno si asciuga gli occhi. Marin spiega quanto sia stato duro «entrare nella testa di mamma», ma necessario:

«È stato il passaggio più difficile, però volevo che gli altri sentissero il caos dell’Alzheimer».

Ma la lezione di Gilda va oltre:

«L’insegnamento più grande è capire davvero cosa significa la parola famiglia. Ho riscoperto l’amore per mio padre Gianni – il mio eroe – e per mio fratello. Una malattia può insegnare cose belle, se ti abitui a guardare il lato luminoso».

Nel corso della serata si sono alternati anche gli interventi della sociologa Annalisa Basso, dell’attivista Renza Ferello e del neurologo Carlo Gabelli, autore della prefazione.

Basso ha ricordato il giorno della diagnosi:

«Quando Fabio, quel giorno, mi ha parlato della diagnosi, io – da buon tecnico – gli ho subito elencato quelli che sono i presidi attivabili, le prestazioni, e qualche altro aspetto tecnico. Ma Fabio non voleva questo. Fabio voleva capire. Voleva dare qualità. Vedete, quando si valuta lo stato dell’assistenza, ci sono dei numeri. Ma i numeri non danno qualità. I numeri descrivono solo l’organizzazione dei servizi, non la qualità percepita. Allora ho cercato di capire cosa potesse essere davvero utile: l’impegnativa di cura, gli aspetti economici, certo… ma lui cercava qualcosa di più. Voleva un supporto per la famiglia, voleva sentirsi appoggiato. Voleva sapere che c’era una persona a cui poter telefonare quando si trova davanti a un momento di difficoltà».

Ferello, “rompiscatole” orgogliosa, ha sottolineato con dati alla mano la gravità delle forme precoci di Alzheimer, che colpiscono oltre 3 mila veneti tra i 40 e i 65 anni:

«Se non investiamo in ricerca, rischiamo l’effetto auto a manovella: una volta finita la carica iniziale, tutto si arresta», ha avvertito, chiedendo più coraggio politico.

Gabelli ha chiuso con un appello alla responsabilità collettiva:

«Ciò che vent’anni fa facevamo col cancro, oggi lo facciamo con l’Alzheimer: lo evitiamo. Invece si tratta di una sfida da affrontare a viso aperto: va guardata in faccia, studiata e condotta senza timore. La testimonianza di Fabio ci costringe a farlo».

Ed è proprio questo spirito a permeare l’intero libro, stampato in tempo record dalla tipografia Battagin. Chi lo ha sfogliato in sala racconta di aver provato un’urgenza semplice e potente: comporre il numero della propria madre.

Il pubblico si alza per l’applauso finale. Gilda – grazie alle parole del figlio – continua a essere presente, in ogni pagina passata di mano in mano.

Perché, come scrive Marin, l’amore resiste, anche quando la memoria trema.

A rendere ancora più significativo questo progetto, la decisione dell’autore di devolvere i proventi del libro alle associazioni che si occupano di Alzheimer, a sostegno della ricerca, dell’assistenza e delle famiglie coinvolte. Un gesto concreto di restituzione e speranza, che unisce alla memoria l’impegno.

(Autore: Francesco Bruni)
(Foto: Francesco Bruni)
(Articolo e foto di proprietà di Dplay Srl)
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