Dai “Luoghi dimenticati” alle curiosità locali. Raccogliendo sempre, grazie alla rubrica di Eventi Venetando, promossa dal Consorzio Pro Loco Quartier del Piave, fatti, avvenimenti o aspetti della vita riguardanti i singoli paesi della nostra zona un secolo fa.
Il tutto per merito anche del sapiente lavoro di recupero, riordino e stesura a cura del professor Enrico Dall’Anese. Proseguiamo, in questa seconda puntata del nuovo format, da Tarzo.
Nel 1922 Tarzo e Corbanese stanno ancora sanando le ferite della Grande Guerra. Le provvidenze alle popolazioni invase erano finite e iniziative come la cooperativa di lavoro, quella di consumo e quella farmaceutica dopo un lusinghiero sviluppo si erano arenate per l’inesperienza di chi le gestiva e per contrasti politici.
Di fronte ad una miseria endemica, l’unica valvola di sfogo restava ancora una volta l’emigrazione. Quell’anno una quarantina di Tarzesi passò il “foss grando” arrivando in Argentina, dove speravano di trovare altri Tarzesi emigrati nell’anteguerra. Quale fu il loro inserimento?
Lo spiegarono trent’anni dopo due emigranti, Ernesto Pilat e Valentino Pancotto, rientrati in patria. Questa la loro testimonianza, raccolta da B. Sartori: “Trovammo miseria anche in Argentina. In un primo momento ci siamo rifugiati in un grande stanzone di una casa abbandonata. Dormivamo senza paglia, perché non avevamo i soldi per comprarla. Per l’illuminazione tutti ci siamo procurati una candela, ma all’occorrenza non veniva mai accesa per non favorire i furbi che la volevano risparmiare a spese degli altri. Quindi o completa oscurità o 40 lucignoli fumiganti! Per quanto riguarda il servizio di cucina e i cucinieri, al confronto quella militare durante la guerra era un vero albergo. Però su tutta quella indescrivibile confusione, su quella situazione così opprimente, su tante lacrime masticate, su scene a volte buffe, regnava sempre la fraternità paesana, sostenuta unicamente dalla speranza di trovare un lavoro. E infatti con molta pazienza, chi qua chi là, un po’ alla volta quasi tutti trovammo da lavorare nei paraggi di Buenos Aires”.
Nel corso dello stesso anno altri Tarzesi partirono per la Francia a ricostruire ponti, strade ed edifici distrutti dalla guerra. Ebbero maggior fortuna. In effetti l’emigrazione in Francia era meglio organizzata.
Alla stazione di arrivo un incaricato della ditta che aveva richiesto gli operai attendeva i trevigiani, provvedeva loro vitto e alloggio e, su richiesta, anticipava anche un po’ di vestiario. All’inizio i contratti erano limitati a 6 mesi, ma ciò era sufficiente per consentire agli emigranti di inviare a casa un po’ di denaro.
(Autore: Venetando)
(Foto: Eventi Venetando)
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