

Al Bosco delle Penne Mozze, a Cison di Valmarino, la fine di agosto è il momento in cui gli alpini tornano a radunarsi tra i cippi e gli alberi che ricordano i caduti. Domenica 27 agosto si è svolta la cinquantaduesima commemorazione, una mattinata partecipata da numerose autorità civili, da alcuni rappresentanti militari e da una folla di penne nere arrivate non solo dalle quattro sezioni dell’Alta Marca Trevigiana. Il ritratto dell’alpino che emerge dalle parole pronunciate durante la cerimonia è quello di un uomo che parla poco ma agisce molto, capace di trasmettere ai ragazzi valori concreti più che ideologie astratte, e di dare sostanza al concetto di Patria.


La cerimonia segue un rituale ormai consolidato. Le Città Medaglia d’Onore al Valor Militare e Civile, Treviso e Vittorio Veneto, sfilano con i rispettivi gonfaloni, insieme ai sindaci, ai capisezione e ai capigruppo. Il corteo si raccoglie davanti al monumento delle Penne Mozze per la deposizione della corona d’alloro, momento in cui il bosco si fa ancora più silenzioso e invita a fermarsi. Qui prende la parola il presidente del Comitato Penne Mozze, Marco Piovesan, che chiede un applauso per la visione del fondatore Mario Altarui, ricordato da un busto posato proprio davanti all’altare del bosco. È a quell’intuizione, e alla scelta del Comune di affidare il luogo alle cure dell’Ana, che si deve l’esistenza di questo spazio di memoria condivisa.


Tra le presenze che colpiscono ci sono anche i ragazzi del camposcuola Ana di Bassano. Il sindaco di Cison di Valmarino, Cristina Da Soller, li definisce “germogli” della memoria futura, chiamati a raccogliere il testimone di chi li ha preceduti. Nel suo saluto ricorda come i gruppi alpini si prendano da sempre cura del territorio comunale e augura loro e a tutti i presenti “altrettanti anni di ricordo e valori alpini”, sottolineando il legame stretto tra il bosco, la comunità e il volontariato.


Il Bosco delle Penne Mozze viene descritto anche attraverso le parole del consigliere regionale Alberto Villanova, presente in rappresentanza del presidente della Regione Luca Zaia. Per lui questo è un luogo in cui il silenzio parla, raccontando i sacrifici di chi “è andato avanti”. Nel suo intervento osserva come gli alpini rappresentino una certezza, un punto fermo, e confida di non voler credere all’idea di una “generazione perduta”. Preferisce pensare a giovani che crescono in silenzio, così come cresce il bosco, pronti a raccogliere il testimone di chi oggi fa da maestro.


A dialogare con queste parole è l’intervento del delegato Ana Carlo Balestra, che porta il saluto del presidente nazionale Sebastiano Favero. Ricorda come l’associazione abbia organizzato dodici campi scuola per trasmettere ai ragazzi i rudimenti della Protezione civile e del volontariato, segno di un impegno che non si esaurisce nelle giornate commemorative. A sintetizzare lo spirito che anima queste iniziative è il motto “Noi prima dell’io”, formula che restituisce bene l’idea di comunità che si respira tra i vialetti del bosco.


La cerimonia assume toni più forti con le riflessioni di don Bruno Fasani, ex direttore del periodico “L’Alpino”, il cui intervento suscita attenzione e dibattito. Sottolinea come oggi parlare di Patria sembri politicamente scorretto, perché rimanda a un senso di appartenenza che qualcuno considera superato o autoritario. Invita invece a recuperare il significato di questa parola, affiancandole perfino il termine “Matria”, per indicare un radicamento ancora più profondo. Nelle sue considerazioni denuncia il rischio di aver sostituito Dio con il concetto astratto di Libertà, di aver trasformato la Patria nel Mercato e di aver messo in discussione la Famiglia, ma ricorda che l’idea di Patria non è scomparsa: ritorna sotto nuove forme, nelle tradizioni popolari e nei gesti che tengono viva la memoria collettiva.


A fare da sottofondo a parole e ricordi ci sono le note della banda di Maser e i canti del Coro Ana di Vittorio Veneto, che accompagnano i momenti della mattinata e contribuiscono a creare un clima raccolto. Terminata la parte ufficiale, molti alpini si spostano verso gli stand o rientrano in paese per proseguire la giornata con un brindisi all’amicizia.


Per chi decide di visitare il Bosco delle Penne Mozze nei giorni della commemorazione, la cerimonia diventa così un’occasione per conoscere da vicino non solo un luogo di memoria, ma anche il modo in cui una comunità continua a raccontare la propria storia attraverso il ritrovarsi, l’ascolto e la condivisione.
(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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