Maria Spada e Villa Antonietta: un anno sotto occupazione a Refrontolo durante la Grande Guerra

Per capire che cosa abbia significato la Grande Guerra per la sinistra Piave e per Refrontolo, basta seguire lo sguardo di una donna che si trovò a vivere il conflitto in prima linea, dentro casa propria. Dopo la sconfitta di Caporetto del 24 ottobre 1917, l’esercito italiano si ritirò sulla linea del Piave e i paesi alle sue spalle vennero consegnati al nemico. A Refrontolo la ferita fu doppia: Villa Antonietta, oggi Villa Battaglia–Spada, venne requisita e trasformata nel Quartier Generale del comando austro-ungarico. A raccontare quell’anno terribile è il diario di Maria Spada, padrona di casa, “piccola donna dal coraggio immenso” capace di guadagnarsi perfino il rispetto degli invasori.

La data che segna l’inizio di tutto è il 9 novembre 1917. L’esercito dell’Impero è alle porte, chi può fugge, le strade si svuotano, le botteghe abbassano le serrande. Gli ultimi reparti italiani in ritirata hanno fatto saltare le centrali elettriche del Cellina: il paese precipita nel buio, fuori e dentro le case dove la gente si barrica in attesa. Nel diario, Maria annota che la notte precedente gli arditi italiani avevano dormito in chiesa e che da quel giorno la stessa chiesa sarebbe diventata prigione per soldati italiani. Il primo impatto con il nemico è misto di paura e stupore: qualcuno, come Schiratti di Pieve di Soligo, ricorderà quei soldati “giganteschi, maestosi con i loro lunghi mantelli e gli elmi a chiodo”.

Ben presto però il volto dell’invasione cambia. Arrivano saccheggi, prepotenze, richieste continue. Maria descrive l’ingresso a Villa Antonietta del primo comando germanico: una ventina di ufficiali e circa 150 soldati, con cavalli, biciclette e motociclette, agli ordini del capitano Koprium di Breslavia. L’ufficiale la minaccia di cacciarla dal “castello” se non accetterà di alloggiare tutti. In poche ore gli uomini del reparto scassinano armadi e bauli, portano via il fonografo, il mandolino, ogni oggetto di valore, e lasciano sporco ovunque. La guerra, per lei e per i domestici, inizia così: non al fronte, ma tra i muri di casa, invasa e violata.

Nonostante tutto, Maria Spada dimostra una straordinaria forza d’animo. Il suo sguardo è descritto come lucido, l’espressione pacata, i lineamenti severi. A Villa Antonietta si alternano dapprima l’alto comando tedesco, poi gli austro-ungarici, con la loro élite di principi, baroni e ufficiali di Stato Maggiore. Eppure, in questo andirivieni di uniformi, Maria riesce a imporsi con fermezza, a far rispettare la propria casa e la propria persona, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “madama del castello”.

L’esercito occupante, però, non ha la stessa capacità di visione. Convinto di trattenersi poco nella zona, in pochi mesi consuma le riserve delle famiglie, sottraendo generi alimentari, animali, attrezzi. Ma l’esercito italiano, ricostituitosi dopo Caporetto, resiste sul Piave, e quella che doveva essere un’occupazione breve si trasforma in una lunga attesa. Il 1918 diventa così l’anno della fame, per i civili rimasti nei territori occupati e per gli stessi soldati invasori. Nel diario Maria osserva come, a Refrontolo, ci si trovi “al fronte”, con i “confini della Germania” identificati nei paesi del Quartier del Piave, e nota con lucidità che i comandi nemici non si aspettavano una resistenza così tenace sul fiume, arrivando a impadronirsi di “tanta roba di tutti i generi” che gli stessi tedeschi dichiarano di non avere mai posseduto in patria in quantità simili.

Intanto, a Villa Antonietta, i comandi si susseguono. A dicembre ai tedeschi subentrano gli austriaci e la padrona di casa si ritrova prigioniera nel proprio castello, costretta a dividere spazi e risorse con l’esercito occupante. Nel giugno 1918 l’armata austro-ungarica tenta l’ultima grande offensiva sul Piave, ma viene respinta. Nel Quartier del Piave, da Villa Spada fino ai paesi vicini, bombardamenti e paura diventano il sottofondo quotidiano che unisce tutti: occupanti e occupati, ricchi e poveri, uomini, donne, bambini, colti e analfabeti. Maria “tiene duro”, annota il rimbombo delle artiglierie e le interminabili colonne di soldati che passano per Refrontolo in ritirata, al punto da definire quella sfilata una “seconda invasione”.

L’estate del 1918 scorre tra privazioni e incertezze. A settembre gli aeroplani italiani sorvolano i paesi occupati e lanciano biglietti che invitano i civili a proteggersi dai gas. Maria non si limita a leggere l’avviso: prepara per sé e per i domestici sacchetti riempiti di cenere, da inumidire e tenere davanti a naso e bocca in caso di attacco. Un gesto semplice, che restituisce tutta la misura della paura e, insieme, della tenacia con cui la popolazione cerca di difendersi come può.

Quando infine parte la controffensiva italiana per liberare i territori occupati, la sorte riserva un’ulteriore prova ai refrontolesi. Le granate che cadono a centinaia sul paese sono italiane, sparate dalle postazioni sugli altipiani contro le linee austro-ungariche: per i civili, stretti tra due fuochi, la pace è ancora lontana. Nel diario, sotto la data del 27 ottobre 1918, Maria racconta una notte di bombardamenti intensissimi, passata in piedi a recitare il rosario insieme alle altre donne di casa.

Il 29 ottobre 1918 Refrontolo è letteralmente “tra due fuochi”: pioggia di granate italiane da una parte, colpi dei cannoni austriaci dall’altra, appostati nei pressi del tempietto. È in queste ore che su Aristide (citato nel testo come “Sig. Aristide”) arriva a Villa Antonietta per annunciare che gli italiani hanno passato il Piave e che nel giro di poco saranno in paese. Nel pomeriggio, mentre le granate sembrano prendere di mira proprio la villa, giunge anche la notizia che le truppe italiane sono arrivate a Pieve di Soligo. La sera, con i domestici Regina, Maria e Vittorio, Maria torna a stringere il rosario tra le mani e decide di restare sveglia tutta la notte, nell’attesa di sentire finalmente arrivare i soldati italiani.

Il 30 ottobre segnala la svolta. Dopo 94 ore ininterrotte di bombardamenti, Maria può scrivere di essere salva. Alcune granate sono entrate nella villa: una, passando dalla finestra, ha superato quattro cassette di proiettili austriaci senza farle esplodere e si è fermata inesplosa; un’altra ha attraversato la bigattiera, entrando da una finestra e uscendo dall’altra, senza causare vittime. Nelle prime ore arrivano gli arditi, nel pomeriggio fanno il loro ingresso anche i bersaglieri. È il momento che Maria attende da un anno: può esporre il tricolore alla finestra di Villa Antonietta, mentre l’Imperial Regio Esercito che aspirava a dominare l’Europa è costretto alla ritirata e verrà definitivamente sconfitto pochi giorni dopo, il 4 novembre 1918. Per Maria Spada e per tutte le genti del Piave, quell’anno resterà impresso per sempre: un tempo di paure, fame e lutti, ma anche di dignità ostinata, vissuto in un paese che oggi invita chi arriva a riscoprirne le tracce camminando tra colline, ville e memorie di guerra.

(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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