Nel cuore di Valdobbiadene, tra le case affacciate su Piazza Marconi e le strade percorse dai soldati in ritirata, la storia della Grande Guerra ha il volto e la voce di una donna. Caterina Arrigoni nasce qui il 24 giugno 1882, figlia del notaio Renato e di Marianna Lucheschi. Il padre, esponente di una famiglia di antico lignaggio, è una figura di riferimento nella vita politica e sociale locale e, durante l’occupazione, diventa punto di collegamento tra la comunità e i comandi militari austro-ungarici.
Quando, nell’ottobre del 1917, il fronte arretra sulla linea del Piave, Caterina ha 35 anni e si ritrova al centro di una stagione drammatica. L’invasione, l’arrivo delle truppe nemiche, lo sfollamento di interi paesi trasformano la quotidianità in una prova continua di resistenza. Lei sceglie di raccontare tutto, giorno dopo giorno, dando vita a un diario che diventerà uno dei documenti più significativi sulla guerra vissuta tra le colline del Valdobbiadenese. In quasi settecento fogli registra i fatti militari, ma soprattutto le pene di una comunità in disfacimento: l’arretramento del fronte, il passaggio incessante di soldati e salmerie, l’attesa della liberazione.


Nell’autunno del 1917, a Valdobbiadene, la convivenza con i soldati austro-ungarici diventa sempre più difficile. Fame, freddo, malattie e violenze segnano la vita di tutti. Caterina osserva da vicino quel mondo ferito: non le sfuggono i tormenti dei più poveri né le angherie inflitte da quelli che chiama “invasori barbari”. Allo stesso tempo annota i gesti di umanità di alcuni soldati, capaci di condividere il poco cibo a disposizione. La fame resta il nemico più insidioso, un’ossessione che accomuna civili e militari.
Poi arriva il momento del profugato. Caterina lascia la propria casa e i suoi beni e si trasferisce a Cozzuolo, frazione di Vittorio Veneto. Qui diventa cronista di una nuova condizione: quella dei profughi, guardati con diffidenza e considerati quasi colpevoli di aver abbandonato il paese d’origine. Nelle sue pagine racconta le accuse, i sospetti, le dfficoltà nel trovare da mangiare ogni giorno. Ricorda le lunghe camminate a piedi nudi o con calzature di fortuna, la raccolta dei radicchi selvatici nei campi, i gesti estremi di chi, consumato dalla disperazione, non vede più via d’uscita.


Il diario segue passo dopo passo questa umanità in esilio: il disagio, il coraggio, i timori, ma anche la tenacia con cui si cerca di resistere. A volte Caterina annota gli eventi quasi ora per ora, fissando sulla carta non solo ciò che accade, ma anche il clima emotivo di chi vive lontano da casa, in attesa di notizie dal fronte e di un cambiamento che tarda ad arrivare. Quando le ostilità cessano e la guerra si chiude, le sue parole registrano il sollievo e la gioia collettiva, lo stupore di poter finalmente immaginare un futuro diverso.
Per quasi cinquant’anni, Caterina torna su quelle pagine, le rilegge, le rielabora, con l’intento dichiarato di non lasciare che il dramma del profugato scivoli nell’oblio. È un’altra forma di resistenza: la volontà di salvare dall’indifferenza una “guerra nella guerra”, quella combattuta per la sopravvivenza quotidiana dalle famiglie civili lungo la sponda sinistra del Piave. Proprio perché scritte in presa diretta, in condizioni di emergenza, le sue note assumono un valore documentario raro, più forte di un testo elaborato molti anni dopo.
Caterina muore a Belluno il 2 luglio 1971. Il suo diario, però, continua a parlare. Riscoperto nella versione integrale dagli storici Luca Nardi e Giancarlo Follador, è stato pubblicato nel 2016 con il sostegno della Regione Veneto e del Comune di Valdobbiadene, diventando una fonte preziosa per chi studia la Grande Guerra e per chi vuole capire come quel conflitto abbia segnato la vita quotidiana delle comunità tra Valdobbiadene e Vittorio Veneto. Per chi guarda il territorio con lo sguardo di una guida locale, la storia di Caterina è un invito a leggere piazze, chiese e colline anche attraverso le voci di chi, allora, ha scelto di raccontare.
(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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