Se oggi attraversi l’altopiano del Cansiglio con calma, tra radure e boschi, è facile pensarlo come un luogo quieto, quasi sospeso. Eppure, nella memoria delle comunità tra Alpago, Vittorio Veneto e il Pordenonese, c’è una notte che ha lasciato un segno profondo: quella tra il 17 e il 18 ottobre 1936, quando una forte scossa, con epicentro proprio sull’altopiano, fece tremare la terra dalle rive del lago di Santa Croce fino a San Vito al Tagliamento.


A raccontare bene la portata dell’evento è anche un dettaglio “da cronaca immediata”. Il sismologo Pietro Caloi, allora giovane assistente all’Istituto Geofisico di Trieste, venne svegliato di soprassalto alle 4.10 del mattino, insieme a tutta la città. Mezz’ora dopo, studiando i sismogrammi, riuscì già a indicare come area più colpita quella compresa tra Aviano e Belluno.
Il terremoto ebbe una magnitudo 5.9 sulla scala Richter e fu preceduto da una scossa più lieve, avvertita qualche ora prima. Nonostante un valore che, sulla carta, potrebbe sembrare “moderato”, gli effetti furono giudicati al IX grado della scala Mercalli, cioè nella fascia dei terremoti violenti. L’epicentro venne localizzato nel cuore del Cansiglio, tra Fiaschetti, Stevenà e Villa di Villa, in un’area dove allora molte case erano costruite con materiali poveri e tecniche tradizionali. Ed è anche qui che si capisce perché il bilancio dei danni fu così pesante: la fragilità del costruito trasformò una scossa forte in un colpo durissimo.
All’epoca l’altopiano era un mosaico di piccoli borghi agricoli, con edifici in pietra e laterizio spesso privi di rinforzi adeguati. In diversi paesi vicini all’epicentro si registrarono crolli e tante abitazioni divennero inabitabili. La scossa fu avvertita in tutta l’Italia settentrionale e oltre confine, fino a Slovenia, Austria e Svizzera, segno di un’energia che si propagò ben oltre l’area epicentrale.
Sul numero delle vittime, le fonti non sono completamente concordi: alcune riportano l’assenza di morti, altre parlano di 19 decessi. Secondo queste ultime, i lutti si concentrarono soprattutto nelle frazioni di Caneva, con sette morti a Fiaschetti (due adulti e cinque bambini della stessa famiglia) e otto a Stevenà, dove due nuclei conviventi persero la vita nel crollo della loro abitazione. A questi si aggiunsero una vittima a Coltura, una a Fontaniva e una a San Giovanni (frazioni di Polcenigo), oltre a un decesso a Conegliano.


Dal punto di vista geologico, la profondità dell’ipocentro venne stimata tra 15 e 18 chilometri, sensibilmente inferiore ai valori medi, più alti, tipici dell’attività sismica di quest’area. Anche la parte settentrionale del Cansiglio, verso l’Alpago, pagò un prezzo alto: a Puos d’Alpago e Cornei tra il 50% e il 70% degli edifici risultò gravemente danneggiato e inagibile, con crepe profonde e crolli parziali che segnarono interi nuclei abitati.
Scendendo verso la pianura, le conseguenze restarono visibili in molti centri. A Sacile la Torre dei Mori fu così lesionata da dover essere abbattuta; a Polcenigo subirono danni la chiesa e il campanile di San Floriano. Lesioni e crolli interessarono anche Vittorio Veneto e le valli del Livenza e del Meschio, dove numerose abitazioni riportarono danni strutturali. A Belluno, Conegliano e San Vito al Tagliamento, insieme a circa una quarantina di altri Comuni minori, i danni furono più contenuti, con crolli circoscritti e distacchi diffusi di intonaci. La scossa arrivò a farsi sentire perfino a Bolzano e Venezia, dove caddero camini e parti di rivestimento.
A Ceneda, oggi quartiere di Vittorio Veneto, l’impatto fu particolarmente duro: quattro edifici crollarono completamente, quaranta vennero giudicati in condizioni critiche e oltre trecento necessitarono di lavori di restauro. Il seminario riportò danni tanto gravi da richiedere demolizioni parziali; anche la cattedrale, la caserma dei Carabinieri, l’Ufficio delle entrate e il municipio subirono lesioni importanti. La stima complessiva dei danni arrivò a circa 4 milioni di lire dell’epoca, una cifra che rende bene l’idea della portata dell’evento per comunità di dimensioni contenute.
Per il territorio Alpago–Cansiglio, però, quel terremoto non fu un caso isolato. Le ricostruzioni ricordano come la zona, nei secoli, sia stata interessata da vari eventi di energia moderata ma capaci comunque di provocare danni. Tra quelli ritenuti più rilevanti vengono citati il terremoto pordenonese del 25 ottobre 1812 (magnitudo 5.6) e il forte sisma del 29 giugno 1873 (magnitudo 6.3), che causò danni gravissimi in area alpina e seri crolli a Belluno, con un bilancio di 80 morti e 83 feriti.
Dopo la scossa del 1936 la terra continuò a muoversi: le repliche si protrassero fino a marzo 1937, alimentando la paura ma accompagnando anche quel lento assestamento che, sul territorio, si traduceva in notti insonni e case da controllare a ogni tremore. Oggi, passando tra Cansiglio e Alpago o scendendo verso Vittorio Veneto, i segni non si colgono più a prima vista, ma la memoria resta negli archivi, nelle carte tecniche e nei racconti tramandati. È un promemoria semplice: questo altopiano verde e silenzioso va guardato anche con rispetto, ricordando la sua natura sismica.
(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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