Dal sagrato al monte: il cammino di Serravalle verso il Santuario di Santa Augusta

La salita che parte dall’abside del Duomo di Serravalle e risale il versante del monte Marcantone non è un semplice sentiero panoramico. Qui è un piccolo pellegrinaggio di quartiere, breve ma denso, dove il passo segue insieme storia locale, devozione popolare e un racconto che a Vittorio Veneto continua a circolare con naturalezza, come fanno le leggende quando sono entrate davvero nella vita di una comunità. In cima ti aspetta il Santuario di Santa Augusta, uno dei luoghi più identitari della città.

Per capire perché questo percorso conta, bisogna ricordare da dove nasce Vittorio Veneto. Nel 1866 si uniscono due centri che per secoli si sono guardati da rivali, Ceneda e Serravalle. Il primo nome scelto fu “Vittorio”, in onore di Vittorio Emanuele II, e solo nel 1923 arrivò l’aggiunta di “Veneto”. È una storia che spiega bene una sensazione che si percepisce ancora oggi camminando in città: una doppia anima, con due duomi, due riferimenti, due feste sentite. Ceneda custodisce nella cripta della cattedrale le reliquie di San Tiziano, patrono di Vittorio Veneto; Serravalle affida invece la propria protezione a Santa Augusta, vergine e martire, e al santuario che domina il quartiere dall’alto del Marcantone.

La figura di Augusta continua ad affascinare proprio perché non sembra una fiaba “da libro”, ma una memoria tenuta in vita soprattutto dal racconto orale, con particolari che suonano verosimili e che, a forza di essere ripetuti, si sono saldati ai luoghi. È una di quelle storie in cui la tradizione popolare, qui, pesa quanto i documenti: non per sostituirli, ma per spiegare perché certe pietre e certi tornanti siano diventati tappe naturali.

La vicenda viene collocata sullo sfondo del tramonto dell’Impero romano. Nel 402 d.C. Alarico, re dei Visigoti, invade le Venezie e la tradizione vuole che sullo sperone del Marcantone si insedi uno dei suoi comandanti, Matrucco: guerriero ambizioso, devoto a Odino, ostile ai cristiani, tanto da farsi chiamare addirittura “re”. Qualche anno dopo, nel 410, la giovane moglie annuncia una gravidanza difficile. Per garantirle cure adeguate, un amico fedele che vive al castello di Piai, a Fregona, offre ospitalità. A seguirla c’è Cita, governante di casa, destinata a diventare la figura decisiva nella formazione della bambina.

La madre non sopravvive al parto e, secondo il racconto, affida idealmente la figlia alle mani di Cita. Matrucco concentra allora tutto l’affetto su quella bambina, le dà il nome di Augusta, le augura grandezza e conferma Cita come nutrice ed educatrice. L’intenzione del padre è crescerla secondo i costumi del proprio popolo, ma la bambina, guidata dall’esempio della governante, si allontana presto dal culto pagano. Crescendo, si appassiona ai racconti sulla fede cristiana, praticata in segreto da molti serravallesi, e sente il desiderio di conoscere quel Dio “nuovo” di cui sente parlare.

La tradizione colloca nei pressi del Marcantone anche un anziano eremita, ritirato in una grotta scavata nella roccia e interamente dedicato alla preghiera. Cita accompagna Augusta a incontrarlo, e da quella visita la ragazza rimane profondamente colpita: intensifica il suo cammino spirituale, riceve il battesimo, partecipa alle riunioni di preghiera e mette la carità verso i poveri al centro della propria vita, entrando nelle case più umili e conquistando la fiducia di chi la incontra.

Tra gli episodi più citati c’è quello considerato il primo miracolo. Augusta raccoglie il pane avanzato dalla tavola del palazzo per distribuirlo a chi aspetta un aiuto nel borgo. Un giorno, scendendo verso Serravalle con il grembiule pieno di tozzi, si imbatte nel padre che risale a cavallo. Alla domanda su cosa stia nascondendo, lei risponde con calma che sono “fiori di campo per i poveri”. Matrucco, diffidente, la costringe ad aprire il grembiule e, al posto del pane, compaiono davvero solo fiori. Sul percorso di salita al santuario esiste ancora un grande sasso consumato che la tradizione collega a questa scena: è una di quelle pietre che i pellegrini si fermano a sfiorare e davanti a cui ci si segna, proprio perché il racconto è stato “piantato” lì, sul tracciato, e da lì non si è più spostato.

Col tempo Augusta diventa per Matrucco una presenza difficile da tollerare. Non partecipa ai riti pagani, evita le feste di corte, rifiuta matrimoni vantaggiosi, si veste con semplicità e dedica attenzione costante ai poveri. Esce spesso senza spiegazioni e questo insospettisce il padre, che teme un legame sempre più forte con la comunità cristiana. Decide di farla sorvegliare, e la storia prende la piega del martirio: la tradizione racconta di torture tentate e non compiute, fino alla costruzione di una ruota armata di punte di ferro. Quando gli aguzzini stanno per azionarla, un angelo discende sul monte e spezza la macchina con un colpo solo. Molti presenti, davanti a quanto visto, scelgono di convertirsi. Matrucco, ferito nell’orgoglio, arriva alla condanna estrema e ordina la decapitazione della figlia.

Dopo l’esecuzione, il racconto cambia tono: la furia lascia spazio al rimorso, poi alla disperazione. Il re, che aveva amato profondamente la figlia, ne riconosce l’innocenza, la chiama per nome e ne esalta la purezza, fino a lasciare il palazzo e tornare verso la Germania. Su Cita, la nutrice, la tradizione è meno netta: c’è chi vuole che sia sepolta accanto ad Augusta e che condivida con lei altare e venerazione. Per lenire il rimorso, Matrucco avrebbe fatto predisporre una preziosa urna scolpita con le scene del martirio, ma per timore di saccheggi i fedeli decidono di nasconderla, perdendone poi la memoria esatta.

Il punto di svolta arriva nel marzo del 1450. Durante i lavori di ripristino della piccola chiesa sul Marcantone, gravemente danneggiata da un incendio, gli operai rinvengono un’urna in pietra con ossa ritenute le reliquie di Santa Augusta. Da allora il luogo del ritrovamento, delimitato da una cancellata in ferro battuto, diventa un fulcro della devozione serravallese. E il cammino che parte dal Duomo cambia significato: ogni tornante non è solo un guadagno di quota, ma un passaggio di racconto, dal pane trasformato in fiori alla memoria del martirio, fino al ritrovamento dell’arca. In questo tratto di Vittorio Veneto, storia e fede continuano a intrecciarsi nello stesso modo: camminando.

(Autore: Redazione di Qdpnews.it)
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