Nel cuore di Vidor, affacciata su Piazza Maggiore, l’arcipretale del Santo Nome di Maria introduce il visitatore in uno dei luoghi sacri più significativi del Quartier del Piave. La chiesa settecentesca, così come la vediamo oggi, sostituisce l’antica cappella castrense alto- medievale dedicata alla Natività di Maria, che serviva il castello e il piccolo nucleo abitato ai suoi piedi. Una lapide, ora nascosta dall’organo Pugina, ricorda la solenne inaugurazione del 25 maggio 1748, avvenuta sotto l’episcopato del vescovo di Ceneda Lorenzo Da Ponte.
La storia dell’edificio è segnata in modo profondo dalla Prima Guerra Mondiale. Trovandosi Vidor in prima linea, la chiesa fu colpita duramente dalle artiglierie italiane: il tetto crollò, i muri vennero lacerati dai colpi di cannone e gran parte degli arredi interni andò distrutta. Rimasero in piedi solo i muri laterali e il massiccio campanile ottocentesco, che ancora oggi caratterizza il profilo del paese. Nel 1925 l’arcipretale fu restaurata sotto la guida del parroco don Silvio Celotto. All’esterno, la facciata si distingue per il rosone in marmo con l’effigie della Madonna e per le tre statue poste sul frontone, ra.iguranti Santa Maria, Santa Maria di Cleofa e Santa Maria Maddalena: un gruppo che richiama in modo immediato la dedicazione al Sacro Nome di Maria.
Entrando, lo sguardo è attratto dalle pale d’altare più preziose, entrambe eseguite a metà Settecento dal pittore veneziano Francesco Zugno. Dietro il battistero si trova la Madonna del Rosario tra i santi Domenico e Rosa; sull’altare maggiore campeggia invece la Glorificazione del Santo Nome di Maria con papa Innocenzo XI e il re di Polonia Jan Sobieski, in ricordo della vittoria cristiana sui Turchi che nel 1683 assediarono Vienna. In queste tele Zugno, allievo di Piazzetta, aderisce al modello del maestro piegando l’eleganza del gusto rococò a un forte intento devozionale, con una pittura capace di unire ra.inatezza cromatica e intensità spirituale.
Vidor è anche il paese che conserva il nucleo più consistente di opere del veneziano Guido Cadorin. Nel primo dopoguerra l’artista viene chiamato a intervenire sul so.itto della chiesa, dove realizza nel 1922 una grande Resurrezione con Ascensione. Pochi anni dopo, nel 1926, completano il ciclo la Sacra Famiglia, il Padre Eterno, l’Adorazione dei Magi e la Crocifissione. Nel primo intervento tornano protagoniste le tre Marie, disposte in un’ordinata schiera mentre seguono il gesto eloquente dell’angelo, che funge da raccordo con la scena sovrastante dell’Ascensione. Il linguaggio di Cadorin si distingue per la limpidezza della pittura, le atmosfere sospese e un’interpretazione “purista” che guarda al primo Rinascimento, pur inserita nel gusto del Novecento.
È in questi anni che l’artista, spesso ispirandosi ai volti della gente del posto, rinnova la decorazione sacra, aggiornandola alla cultura figurativa contemporanea senza spezzare il legame con la tradizione. Anche l’altare maggiore e i sei altari laterali vengono riorganizzati. Degno di particolare attenzione è l’altare dedicato alla Madonna del Carmine, affiancato dalle statue di San Simone Stock e Santa Teresa d’Avila, scolpite da Vincenzo Cadorin, padre di Guido, che porta in chiesa la propria maestria di scultore veneziano.
Un altro elemento caratteristico è l’altare dei “Santi Franceschi”, così chiamato perché nella pala compaiono i santi Francesco di Sales, Francesco Saverio e Francesco di Paola. Gli altri quattro altari sono dedicati al Sacro Cuore di Gesù, a Sant’Antonio da Padova, a San Giuseppe – che oggi accoglie anche il battistero – e a Santa Eufemia, la cui cappella è ora nuovamente riferita a San Giuseppe. Lungo i muri laterali tre nicchie custodiscono statue in marmo di San Girolamo, San Francesco d’Assisi e San Giuseppe da Copertino, figure che accompagnano il fedele nel percorso lungo la navata.
A chi osserva la facciata dalla piazza, le tre statue mariane sul frontone appaiono come una sorta di benedizione alta sul paese. Rappresentano il Sacro Nome di Maria che veglia su Vidor e, nel silenzio della pietra, sembra ricordare il desiderio profondo che qui tutti condividono: che non si ripetano più gli orrori e le distruzioni delle guerre che, un secolo fa, segnarono così duramente questa chiesa e il territorio circostante.
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